Le città europee non pensano ai cambiamenti climatici

686
foto di Angelo Perrini
Tempo di lettura: 2 minuti

Un lavoro multidisciplinare pubblicato su «Climate Change Letters», cui ha partecipato l’Imaa-Cnr, evidenzia che siamo molto lontani dagli obiettivi: la Gran Bretagna e l’olandese Groningen le più virtuose. In Italia, solo una città su 32 ha un piano di adattamento. La riduzione dell’80% delle emissioni prevista nel 2050 appare comunque irraggiungibile. Ecco i dati

Le città del nord Europa sono più all’avanguardia nel fronteggiare le sfide del cambiamento climatico con piani di adattamento e consistenti obiettivi di riduzione delle emissioni, in particolare quelle britanniche, francesi e tedesche. La più ambiziosa è la città di Groningen (Olanda) che punta a «zero emissioni», anche attraverso l’incremento di fonti rinnovabili e la piantumazione di nuovi alberi, già nel 2025 in anticipo sul previsto traguardo del 2050.
I dati emergono da una ricerca, pubblicata su «Climate Change Letters» e finanziata dal programma multidisciplinare europeo COST TU0902, che ha visto il coinvolgimento di Monica Salvia e Filomena Pietrapertosa dell’Istituto di metodologie per l’analisi ambientale del Consiglio nazionale delle ricerche (Imaa-Cnr) in collaborazione con ricercatori di nove stati, coordinati da Diana Reckien della Columbia University.
«Abbiamo analizzato gli strumenti elaborati e attuati da 200 città medio-grandi in 11 stati europei: Austria, Belgio, Estonia, Finlandia, Francia, Germania, Irlanda, Italia, Paesi Bassi, Regno Unito, Spagna – spiegano le ricercatrici Cnr -. Le aree urbane hanno un ruolo chiave nel raggiungimento degli obiettivi dell’Unione europea in tema di mitigazione e adattamento ai cambiamenti climatici, in particolare dai target fissati dalla “Energy Roadmap 2050” che tra l’altro prevedono la riduzione dell’80% delle emissioni europee di gas serra entro il 2050 per evitare l’aumento della temperatura media globale di 2°C rispetto ai livelli pre-industriali».
La gran parte delle città sono lontane dal fronteggiare le nuove sfide poste dal cambiamento climatico. «Il 35% non ha provveduto a redigere alcun piano di adattamento né di mitigazione e appena un quarto si è dotato di entrambi, il 72% ha solo il piano di mitigazione e nessuna ha prodotto solo quello di adattamento. Il percorso comune comincia insomma con l’adozione di misure di riduzione delle emissioni, come il miglioramento dell’efficienza energetica e la produzione di energia da fonti rinnovabili, per poi passare all’adattamento del territorio ai rischi futuri, ad esempio tramite la costruzione di argini per proteggere le città da un aumento del livello del mare», spiega Monica Salvia. La situazione risulta però estremamente variabile. «Il primato spetta al Regno Unito: il 93% delle 30 città analizzate ha un piano di mitigazione, contro l’80% di quelle olandesi e tedesche, il 56% di quelle italiane e il 43% delle città francesi. Anche per quanto riguarda l’adattamento, si distingue la Gran Bretagna con 24 città, contro 13 su 40 città tedesche e 5 su 26 spagnole. In Italia, su 32 analizzate, solo Padova vanta un piano di adattamento».
Si tratta del primo studio che non si basi su criteri di autovalutazione ma sui documenti programmatici e di pianificazione realmente adottati. «Se le azioni previste a livello urbano fossero adottate dall’intero sistema nazionale si otterrebbe entro il 2050 una riduzione del 37% delle emissioni di gas serra degli 11 paesi e del 27% dell’Ue nel suo complesso. Tuttavia, saremmo sempre lontani dal raggiungimento dell’80% previsto», osserva Filomena Pietrapertosa.
La maggior parte dei piani di mitigazione si basa su opzioni tecnologiche e azioni di settore per incrementare l’efficienza energetica, come il miglioramento della coibentazione degli edifici, piuttosto che su cambiamenti a scala urbana. L’adattamento invece viene spesso affrontato in termini più sistemici ma meno concreti, in termini di studi scientifici o cooperazione, e soprattutto a scala regionale, in Italia e Francia, o nazionale, in Olanda.