Prosegue per tutto l’inverno il progetto per il monitoraggio dei cetacei nella regione di mare compresa tra l’Italia e la Tunisia
Prosegue per tutto l’inverno il monitoraggio dei cetacei nel Canale di Sicilia portato avanti dall’associazione siciliana Ketos. Il programma di monitoraggio, concretizzato con la collaborazione di Accobams (l’accordo internazionale per la conservazione dei cetacei nel Mar Mediterraneo) è realizzato in accordo con un gruppo di enti di ricerca italiani e tunisini.
Tra gli scopi del progetto, oltre a fornire indicazioni sulla presenza di cetacei nel Canale, c’è anche quello di verificare i pattern di migrazione della balenottera mediterranea. Al fine di poter garantire un monitoraggio annuale anche in zone difficilmente raggiungibili dai normali mezzi di ricerca nautici e per ottimizzare i costi, il gruppo di ricerca, con la collaborazione della Grimaldi Lines, utilizza i traghetti di linea come piattaforma di osservazione seguendo uno specifico protocollo standard elaborato da Ispra.
Mario Tringali, responsabile scientifico dell’associazione Ketos sottolinea come: «grazie alla proficua collaborazione con gli enti di ricerca tunisini possiamo realizzare congiuntamente un programma di monitoraggio transfrontaliero che permetterà, tra le altre cose, anche di valutare l’impatto delle grandi navi sulle balene in un’area con la più altra frequenza di traffico marittimo nel Mediterraneo».
Anna Ruvolo, che, con l’Università di Pisa nel passato ha realizzato il monitoraggio cetacei nell’arcipelago Toscano evidenzia come «il progetto è inserito nel network internazionale che monitora la Regione Marina del Mediterraneo Occidentale utilizzando traghetti di linea tra Francia, Italia e Spagna permettendo così una visione comprensiva della distribuzione dei cetacei nel Mar Mediterraneo».
Al progetto italo-tunisino a cui partecipano anche Ispra, Fond. Cima, l’Ass. Atutax (capofila), l’Università di Bizerte e la Ctn Ferries, prevede anche il monitoraggio sperimentale delle plastiche galleggianti al largo delle Isole Egadi e nel Canale di Sicilia. Le plastiche galleggianti, infatti, possono creare gravi danni sia perché direttamente ingerite da tartarughe ed da alcuni cetacei sia perché a seguito della loro frammentazione possono entrare nella catena alimentare marina.
«Il progetto – conclude Giuliana Pellegrino dell’Università di Catania – oltre a riguardare la formazione e la condivisione dei dati raccolti con i ricercatori tunisini, è anche una dimostrazione di come la conservazione dell’ambiente marino possa avvicinare e far collaborare popoli di diverse sponde del mar Mediterraneo».