Cifre e situazioni non aggiornate che descrivono una popolazione esposta ai rischi geologici, dati così vecchi in uno scenario che cambia di mese in mese e di stagione in stagione, tanto che l’aggiornamento lo compie un’associazione di protezione ambientale, Legambiente, con il patrocinio del Dipartimento nazionale di Protezione Civile. In una fase dove le dinamiche climatiche locali, influenzate da quelle globali, evidenziano tutta la fragilità del territorio italiano, profondamente modificato dall’uomo, non resta che avviare serie politiche di adattamento a quelli che si potrebbero definire i nuovi «Rischi geoantropici»
I dati ufficiali sullo stato della conoscenza dei comuni italiani interessati dal rischio idrogeologico risalgono al 2008, sono dati prodotti dal ministero dell’Ambiente e della tutela del territorio e del mare nel volume «Il rischio idrogeologico in Italia, 2008». Cifre e situazioni non aggiornate che descrivono una popolazione esposta ai rischi geologici, dati così vecchi in uno scenario che cambia di mese in mese e di stagione in stagione, tanto che l’aggiornamento lo compie un’associazione di protezione ambientale, Legambiente, con il patrocinio del Dipartimento nazionale di Protezione Civile.
L’indagine «Ecosistema rischio 2013» realizzata dai volontari di Legambiente, nell’ambito della campagna nazionale denominata «Operazione fiume» e dedicata alla prevenzione e all’informazione sul rischio idrogeologico in Italia, è arrivata alla sua decima edizione. Così la società civile si sostituisce allo Stato e consolida il suo ruolo avviando un suo censimento e sottoponendo alle amministrazioni comunali un questionario sullo stato di salute di un’Italia sempre più fragile di fronte ai rischi geologici quali alluvione e frane. Delle 6.209 amministrazioni comunali, individuate nel 2008 dal ministero dell’Ambiente con territorio interessato da rischio idrogeologico e consultate da Legambiente nel corso del 2013, hanno risposto solo 1.552 pari al 23%.
Lo scenario è desolante tanto che secondo il comunicato del Dipartimento di Protezione Civile che presenta il monitoraggio sulle attività delle amministrazioni comunali per la mitigazione del rischio idrogeologico «Nonostante le ripetute tragedie anche nell’ultimo decennio sono state edificate nuove strutture in zone esposte a pericolo di frane e alluvioni (in 186 comuni fra quelli intervistati). Nel contempo, soltanto 55 amministrazioni hanno intrapreso azioni di delocalizzazione di abitazioni dalle aree esposte a maggiore pericolo e in appena 27 comuni si è provveduto a delocalizzare insediamenti industriali. Ancora in ritardo le attività finalizzate all’informazione dei cittadini (dichiarano di farle in 472 comuni), essenziali per preparare la popolazione ad affrontare situazioni di emergenza».
Le parole del Capo del Dipartimento della Protezione Civile, Franco Gabrielli, sembrano confermare il distacco tra decisioni politiche ed esigenze del territorio, egli sostiene «Purtroppo, in dieci anni di Ecosistema Rischio ci siamo ritrovati a dire spesso le stesse cose: il tempo è passato ma sembra sia cambiato poco o nulla nell’attenzione rivolta ai temi della protezione civile e della salvaguardia del nostro territorio. Anche di fronte agli ultimi avvenimenti, che confermano come il rischio idrogeologico interessi la massima parte del territorio italiano e constatando una prevenzione strutturale non immediata per tempi e risorse economiche, dobbiamo tutti concentrarci sulla prevenzione di protezione civile e su una corretta informazione ai cittadini, strumenti che nell’immediato possono consentirci di salvare vite umane. Detto ciò, rimango convinto dell’urgenza di passare dalle parole ai fatti, dell’urgenza di compiere scelte importanti che pongano al vertice delle nostre preoccupazioni la salvaguardia dell’intero territorio che sta letteralmente crollando a pezzi. Per questo ho lanciato, da mesi, la proposta di una revisione delle politiche di uso del territorio, sospendendo, magari, quei progetti che possano provocare un ulteriore aggravio del rischio in un paese sempre più fragile come il nostro e investendo le poche risorse che abbiamo sulla messa in sicurezza».
Resta prioritaria l’auto-protezione della popolazione attraverso l’apprendimento dei piani comunali di protezione civile che prevede una rigorosa e rodata organizzazione del sistema locale di protezione civile, azioni queste fondamentale per rispondere alle emergenze in maniera efficace e tempestiva. L’indagine 2013 ha dimostrato però che solo l’85% dei comuni che hanno aderito all’iniziativa (1.148 amministrazioni) si è dotato di un piano di emergenza da mettere in atto in caso di frana o alluvione, di cui quasi la metà non è stato aggiornato negli ultimi due anni, piano che tutte le amministrazioni avrebbero dovuto aver adottato sin ottobre 2012.
Consuetudine e rassegnazione sono gli stati d’animo che stanno negli anni sostituito lo stupore e il disappunto delle popolazioni colpite dagli eventi collegati a un uso del suolo non più in grado di difendersi dai pericoli naturali. In molti credono che gli eventi naturali trovino nell’uso del suolo un fattore che impedisce loro di evolvere secondo un normale decorso amplificandone gli effetti al suolo. Così interagendo reciprocamente «uso del suolo» ed «eventi naturali» innescano un continuo cambiamento, come un «essere vivente» che cresce e, cambiando i suoi connotati, si adatta e modifica il luogo che occupa. In una fase dove le dinamiche climatiche locali, influenzate da quelle globali, evidenziano tutta la fragilità del territorio italiano, profondamente modificato dall’uomo, non resta che avviare serie politiche di adattamento a quelli che si potrebbero definire i nuovi «Rischi geoantropici».