Si muore di più quando si affronta una gravidanza in età avanzata, quando si vive in ristrettezze economiche e sociali, quando si ricorre (o si è costretti a ricorrere) al cesareo. Oppure quando si partorisce al Sud invece che al Nord Italia
La nostra Pillola della scorsa settimana era dedicata alla necessità di provvedere alle migliori scelte possibili in campo ginecologico ed ostetrico, limitando esami inutili e pratiche scorrette, al fine di diminuire i costi economici e le inappropriatezze a carico delle pazienti (e dei nascituri), nel tentativo di seguire le linee guida di Choosing Wisely. Fra i suggerimenti c’era (e c’è) quello di indirizzarsi con oculatezza verso l’induzione anticipata del parto evitando inutili tagli cesarei e limitandoli alle condizioni di stretta necessità.
In effetti troppo spesso la cattiva abitudine di «scegliere» il parto cesareo è stata posta sotto accusa per la sua eccessiva frequenza, per la superficialità (a detta di alcuni) con cui questa scelta si compie e per il convincimento che in alcuni casi il cesareo sia effettuato più per corrispondere alle richieste ed alle comodità della mamma o dei medici che non alle reali necessità del bimbo: partorire «quando lo decidiamo noi» e non quando a scegliere è la natura rimane a volte un discutibile «vantaggio» che tende ad incasellare l’evento del parto all’interno di una cornice di prevedibilità e di eliminazione di tempi morti che però potrebbe rivelarsi carico di conseguenze per mamma e nascituro.
La dimostrazione della giustezza delle tesi di Choosing Wisely e della opportunità di riflettere bene sul se e quando davvero effettuare il parto cesareo invece del parto naturale viene ribadita dalla lettura dei dati relativi alla mortalità per parto in Italia ed in Europa che invece ad una lettura frettolosa potrebbero indurre ad un atteggiamento di ulteriore «medicalizzazione» del momento magico del parto in contrapposizione alla naturalità dell’espletamento del parto secondo tempi e modi consueti.
La (bassa) mortalità di parto è stata per molti anni un fiore all’occhiello della sanità italiana, indicata come capace di tenere ai minimi mondiali l’incidenza di questa terribile complicanza della gravidanza. Questa felice casistica ha subito negli ultimi anni una modificazione che ha portato il nostro Paese a riflettere meglio sulle cause per cui ciò avviene.
Dati pubblicati dal Lancet nel 2010 e riferiti al periodo 1980-2008 indicavano con chiarezza che il trend mondiale andava in direzione di una diminuzione delle morti per parto in tutto il mondo e portavano l’Italia in vetta alla classifica del «benessere da parto» con risultati eccellenti: per fare solo qualche esempio, il numero di morti per parto era, ogni 100mila nati vivi nel 1980, di 19 per la Francia, 20 per la Germania, 12 per gli Usa, 6 per la Svezia, 149 per il Brasile, 251 per la Turchia, 20 per il Giappone, 1061 per l’Etiopia e 14 per l’Italia. Tali condizioni mostravano un ulteriore grado di miglioramento per il nostro Paese relativamente al 2008 in cui si aveva, sempre ogni 100mila nati vivi, un numero di decessi delle partorienti pari a 10 per la Francia, 7 per la Germania, 17 per gli USA, 5 per la Svezia, 55 per il Brasile, 58 per la Turchia, 7 per il Giappone, 590 per l’Etiopia e 4 per l’Italia. Un buon successo, quindi, un trend incoraggiante e confortante.
Alcuni affermano che questi dati sono probabilmente non completamente esatti, con una sottostima delle morti da parto legata ad una serie di fattori anche burocratici: revisioni più recenti ipotizzano il dato reale italiano più a cavallo di una decina di unità per anno (e per 100mila nati vivi) che non a meno della metà, come i dati del Lancet illustravano. Fatto sta che l’immagine complessiva dell’Italia e della sua sanità che emerge da questi dati è quella di un Paese che gestisce in modo sufficientemente attento il momento del parto e delle sue possibili complicazioni.
Ma perché si muore di parto? Quali sono gli elementi critici del termine gravidanza? Cosa si può fare per evitare questi decessi? Domande complesse ed irte di articolazioni. Alcuni dati sono però sicuri: si muore per parto più al Sud che al Nord (tre volte più in Sicilia che in Toscana ed in Emilia Romagna), hanno più rischio di morte le ultratrentacinquenni rispetto alle più giovani (rischio raddoppiato per chi ha più di 35), ci sono più decessi fra coloro che si sottopongono a parto cesareo (tre volte di più rispetto alle altre) anche se si comprende bene il fatto che in molti casi il cesareo più che la causa del problema è il tentativo di risolverlo.
Altri elementi critici sono dati dalla condizione sociale e dal grado di istruzione, insieme alla cittadinanza straniera che non di rado si accompagna a queste condizioni. Si muore per emorragie ostetriche e per disordini ipertensivi in gravidanza, oltre che per tromboembolie: tutte condizioni che potrebbero essere meglio affrontate e combattute durante la gravidanza ed al momento del parto. L’età avanzata delle partorienti sta diventando un serio problema e le predispone a complicazioni più frequenti che nell’età giovanile.
Non siamo il Paese migliore del mondo in termini di gestione del parto ma non scontiamo una sanità da ultimi della Terra: questa una prima sommaria conclusione. Insieme ad altre: si muore di più quando si affronta una gravidanza in età avanzata, quando si vive in ristrettezze economiche e sociali, quando si ricorre (o si è costretti a ricorrere) al cesareo. Oppure quando si partorisce al Sud invece che al Nord Italia.