Un testo, riportato su un foglio, non propone automaticamente cose intelligenti, solo perché elaborato e stampato con macchine elettronicamente dotate di prestazioni eccezionali: se non c’è la ricchezza dei tessuti di esperienze e conoscenze critiche umane, si rischia solo di mettere in funzione strumenti potenti, che sanno, però, solo manipolare e trasmettere meccanicamente significanti senza significati e che possono indurre atrofie mentali. Gli strumenti, di qualsiasi origine, che possono facilitare o potenziare peculiari attività umane (come avviene nel caso del calcolo elettronico o della scrittura di testi su file e della loro stampa su carta) sono, di fatto, solo delle potenti protesi che, senza una qualificata appartenenza, non hanno però occasioni e motivazioni per svolgere le loro funzioni. Sono prive, cioè, di un’intenzione intelligente che le guidi. Sono protesi alle quali mancano quelle consapevolezze del «sé» necessarie per attivare propri, autonomi e responsabili modi di essere, che non consistono, certamente, nel replicare, anche se in modi verosimili (seguendo criteri e gradi predefiniti di libertà di scelta), il saper pensare e i comportamenti umani.
Nei segni lasciati su carte non virtuali (su quelle, cioè, che hanno anche una propria storia, di miserie o di buona sorte, da raccontare e che riportano, nei tratti conferiti a ogni scrittura, anche uno stato d’animo, un’afflizione, un’emozione, una tormentante responsabilità) c’è una traccia vitale unica, non solo uno o più freddi enunciati da interpretare o un rigido compito da memorizzare e da assolvere. Sui supporti cartacei potremo anche trovare eventuali perentori elenchi di cose da fare o da acquistare, ma soprattutto non verrà mai a mancare la qualità, umana e unica, del saper dare senso alle cose contenute nei particolari segni di un testo autografo, pur nella versione formalmente insignificante di una sequenza di parole. Potranno essere discorsi forse ancora da iniziare o solo da continuare e poi da concludere su altri pezzi di carta, nella sostanza, però, ogni cosa si presenterà come se fosse una pagina diversa, ma di uno stesso libro che raccoglie, sotto forma di vari segni, i nostri pensieri più originali e l’unicità delle nostre storie.
Sulla carta non c’è l’anonima opzione «elimina» delle agende elettroniche, ma c’è la responsabilità della cura di memorie che sono documenti di un vissuto umano che ci appartiene. Un vissuto che non può essere annientato da un tasto che opera, sulle nostre storie, come una mannaia. I nostri pensieri e le nostre attese, non sono, come i nostri corpi, destinati a consumarsi e, quindi, non possono essere sottratti alle relazioni senza tempo fra i patrimoni, immateriali e condivisi, di esperienze e conoscenze umane.
Persino la scrittura dei «pizzini» (con i quali, nelle organizzazioni criminali, sono trasmessi ordini minacciosi e propositi omicidi) sembra capace di esprimere (spesso con i toni spietati di un’irrevocabile condanna) non solo un comando, ma anche il concetto del male estremo in esso contenuto: quello, per esempio, mortale e inappellabile di una sovranità assoluta nell’esercizio del potere, di vita e di morte, sui propri simili. «Pizzini» conservati, sono stati ritrovati (nel corso delle indagini di polizia) quasi come fossero testimonianze necessarie per dare sostanza a una storia che l’esercizio di un potere ha deviato dal suo corso e per dare continuità rituale a un modo di vivere disumano, imposto da una missione criminale, impegnata a mantenere inalterati i propri tremendi e ciechi obiettivi.
Di fronte ad un Sms o a una e-mail, il dubbio sulla fonte è notevole. Recentemente ho ricevuto, da un amico, tramite posta elettronica, una drammatica richiesta di aiuto che è stata ricevuta anche da moltissimi altri. Sempre via e-mail quello stesso amico, di fronte alle molte risposte di solidarietà a lui inviate, ha dovuto smentire quella falsa richiesta, che non si sa come e da chi sia stata formalmente spedita dalla sua casella postale. Con la carta e una firma falsa, questo «scherzo» globale non avrebbe avuto facili opportunità di raggiungere tante persone e, forse, neanche di apparire, come messaggio credibile, a una sola di esse.
I bigliettini di carta, scritti a mano e consegnati, hanno dato vita a molte interessanti storie. Sono stati strumenti ed espressione di esercizio di poteri, ma a volte sono anche diventati mitici documenti di vicende particolari o attestazioni di volontà responsabilmente orientate verso il bene. I bigliettini se li scambiano gli innamorati (che vogliono tenere segreta o riservata una loro relazione), li impongono in modi perentori (spesso, però, accompagnati da sostanziosi e convincenti omaggi) i gruppi di pressione che agiscono in politica, in economia, nelle attività finanziarie. I mittenti più accorti e ben organizzati, di questo tipo di bigliettini, usano anche codici, comprensibili solo ai destinatari, per trasmettere ordini occulti e far convergere scelte e comportamenti, per esempio, su strategie finanziarie predatorie che producono abusivi e lucrosi profitti.
Molti mettono nero su bianco con la convinzione che una volontà, se espressa in modi ben articolati, possa chiudere intere e complesse questioni. Altri invece immaginano di poter racchiudere, tutto un mondo di pensieri (pur se complessi e sospesi), in un breve appunto che dovrebbe trasformarsi in una chiave per farli tornare in gioco, a tempo debito, forse anche per porre, così, un certo rimedio all’obsolescenza che l’avanzare dell’età impone alla memoria umana.