La burocrazia si comporta come uno stato indipendente e la politica sta a guardare impotente. Si parla di digitalizzazione ma i burocrati decidono che ora bisogna stampare le ricette e non una ma due…
Come spesso si afferma è dai particolari che si notano le grandi idee (vere o presunte) ed è dalle piccole cose che si deve cominciare ad analizzare la serietà e la coerenza delle grandi dichiarazioni di principio. Quando i particolari non corrispondono alle affermazioni di buone intenzioni ci si trova dinanzi a casi, più o meno eclatanti, di disfunzione o di superficialità o di menefreghismo o di ignoranza. Con tutte le conseguenze del caso e con la necessità, a parer nostro, di denunciarle e combatterle.
È il caso del consumo di carta in ambito sanitario, una problematica su cui ci siamo intrattenuti nell’ultimo numero del nostro trimestrale, all’interno di una più generale serie di considerazioni sul mondo della carta, sulle sue caratteristiche e sull’impatto che ha sul nostro ecosistema.
In quella (ed in molte altre sedi) si è detto quanto il mondo della pubblica amministrazione sia corresponsabile di un consumo assolutamente sproporzionato di carta, a volte con giustificazioni un po’ più accettabili, troppe volte però con motivazioni debolissime o addirittura sorprendenti.
Nell’epoca della telematica e della informatizzazione, nel momento della scelta verso una dematerializzazione delle procedure, sintetizzate dalla volontà dichiarata e ribadita di andare verso le ricette elettroniche e la riduzione dei consumi cartacei (con auspicato miglioramento della velocizzazione dei sistemi di comunicazione fra i tanti attori in campo sanitario, dai medici ai farmacisti alle Asl ai cittadini) fa un po’ tristezza rilevare come alle buone intenzioni corrispondano non di rado comportamenti di estrema incoerenza che sconfessano clamorosamente le buone dichiarazioni iniziali.
Spieghiamoci meglio e chiariamo un passaggio preliminare. Sino a diversi mesi fa la procedura per avviare una pratica di malattia per i lavoratori prevedeva la compilazione, da parte del proprio medico curante, di un certificato cartaceo che il lavoratore stesso provvedeva ad inviare al proprio datore di lavoro e contestualmente alla sede Inps di competenza. Considerato il numero di soggetti che quotidianamente si recavano (e si recano) dal proprio medico di fiducia per adempiere a tale obbligo ed il numero complessivo di pratiche di malattie espletate da tutti i medici di medicina generale in Italia stiamo parlando di un quantitativo rilevantissimo di materiale cartaceo prodotto ed inviato senza sosta. E subito dopo destinato alla distruzione o, meglio, al riciclo.
Il decreto ministeriale del 18 aprile 2012 ha sancito il passaggio inderogabile della procedura in questione dal cartaceo al telematico, lasciando al medico ed al paziente, come unica soluzione, la via informatica di comunicazione con l’Inps. In sostanza ai medici è stato richiesto di effettuare la dichiarazione di malattia del paziente esclusivamente tramite computer connesso ad internet in maniera da velocizzare la pratica, ottimizzare i flussi, risparmiare sulla modulistica e ridurre quindi il consumo di carta. Ottima idea, accolta prima con qualche difficoltà da parte di alcuni medici (penalizzati qualche volta nel nostro Belpaese da una rete internet non propriamente perfetta), ma poi accettata dalla stragrande maggioranza dei professionisti ed utilizzata infine a tutt’oggi dalla quasi totalità degli stessi. Un esempio di modernizzazione e razionalizzazione del sistema che avrebbe potuto produrre un reale e significativo risparmio di carta e di risorse esauribili.
Avrebbe potuto, dicevamo, perché in realtà, nel nuovo sistema è invece previsto, comunque, che alla fine della elaborazione della pratica il medico consegni un foglio (stampato su carta propria) in cui si riepilogano i dati in questione, dalle generalità del paziente ai suoi dati fiscali alle patologie alla durata della malattia. Ed è già un po’ strano che, volendo ridurre il consumo di carta, invece di eliminare completamente la possibilità di consumo dei fogli si scelga di trasformare il substrato da modulo Inps (non più attualmente prodotto) a risma del medico. Si potrebbe pensare che tale considerazione sia solo espressione di malumore per la nuova spesa: e invece no.
Mentre sino a qualche giorno fa era possibile concludere la pratica di malattia con la stampa di un unico foglio sintetico comprendente tutti i dati (con due metà destinate l’una al paziente ed una al proprio datore di lavoro) da questa settimana non è più possibile fare ricorso a questa procedura ma si deve obbligatoriamente seguire una strada «nuova» al termine della quale vengono prodotti due fogli di sintesi, l’uno per il paziente e l’altro per il datore di lavoro. Sino alla scorsa settimana chi scrive, ad esempio, avendo notato l’incongruenza della cosa e valutando negativamente l’impatto complessivo di un raddoppio di consumi di carta, aveva scelto (potendolo fare, essendo il software ancora aperto alle due possibilità) di seguire il vecchio itinerario («vuoi compilare il certificato nella versione precedente»? e un ecologista risponde ovviamente di sì!) Da questa settimana, appunto, schiocco di dita di qualche burocrate, cambio di programma ed eliminazione della precedente possibilità: i certificati devono obbligatoriamente essere stampati secondo il «nuovo» sistema, con un consumo, per ogni certificato, di due fogli anziché uno. Raddoppiato in men che non si dica il consumo di carta e l’abbattimento di alberi.
Moltiplichiamo per le pratiche di un giorno, per le pratiche dei medici di un paesino, di una città, di una nazione e consideriamo il numero di malattie di un anno e troveremo un numeretto che esprime un enorme inutile ed aggiuntivo consumo di carta della quale non sentivamo certo il bisogno, in assenza di dati supplementari acquisiti o trasmessi.
In un roboante mondo che straparla di sostenibilità e rispetto dell’ambiente le piccole quotidiane scelte, apparentemente di piccolo conto, sono quelle che dimostrano la credibilità reale dei grandi manager che autorizzano queste sconcezze con devastante leggerezza. Come se un bellissimo frac da sera (raccontato invece che praticato, in verità) avesse uno sbrego sulla coda. E in burocrazia, ahinoi!, si sa che nella coda, in genere, c’è il veleno.