A Chernobyl le foreste pietrificate

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La ricerca dal 1991 dell’Università del South Carolina. Il tempo sembra cristallizzatosi anche per la scomparsa di batteri e funghi che guidano la decomposizione della materia organica, facilitandone il riciclo

A Chernobyl il tempo sembra si sia fermato. A trent’anni dal disastro nucleare i boschi attorno alla centrale sono un ecosistema impazzito. Gli alberi morti non si decompongono, quelli ancora vivi crescono lentamente, gli uccelli hanno il cervello più piccolo, insetti e ragni sono più rari, mentre la contaminazione continua a espandersi man mano che la selvaggina si muove, come hanno dimostrato i cinghiali contaminati rinvenuti in Germania. Il tempo sembra cristallizzatosi anche per la scomparsa di batteri e funghi che guidano la decomposizione della materia organica, facilitandone il riciclo.

È quanto emerge da uno studio pubblicato su «Oecologia»: «Abbiamo condotto una ricerca a Chernobyl dal 1991 e abbiamo notato un significativo accumulo di rifiuti organici nel corso del tempo», si legge nello studio. Nella cosiddetta Red Forest, dove il colore dei pini è virato sul rosso, poco prima della morte di tutti gli alberi, i tronchi morti sono ancora lì, intatti, immuni da decomposizione, anche 15 o 20 anni dopo essersi schiantati al suolo. «A parte alcuni fusti traforati dalle formiche, i tronchi degli alberi morti erano in gran parte intatti» spiega Timothy Mousseau, biologo dell’Università del South Carolina, e autore dello studio.
E così Mousseau e i suoi colleghi si sono chiesti se l’aumento delle foglie morte sul suolo e l’apparente pietrificazione dei pini nascondesse qualcosa di più grave. Così hanno creato circa 600 piccole borse di maglia ripiene di foglie di quercia, acero, betulla e pino, raccolte in un sito incontaminato, e le hanno appese in tutta la zona di esclusione, ognuno dei quali ha vari gradi di contaminazione da radiazioni. Hanno lasciato le sacche e aspettato quasi un anno, un tempo più che sufficiente a batteri e funghi per compiere il loro lavoro. I campioni sono stati depositati in aree più umide o meno umide, con diverse temperature medie. Ed ecco i risultati: nelle aree prive di contaminazione, tra il 70 e il 90 per cento delle foglie erano sparite. Ma nelle aree più contaminate, le foglie erano ancora lì, almeno in gran parte: il 60 per cento del loro peso originale. «Le radiazioni hanno inibito decomposizione microbica della lettiera di foglie nello strato superiore del terreno», spiega Mousseau. Questo significa che i nutrienti non raggiungono più il terreno, rallentando la crescita delle piante.
Altri studi hanno dimostrato che la zona di Chernobyl ha un più alto tasso di incendio, il che non stupisce, data la quantità di biomassa secca che non si decompone. Ma gli incendi hanno il risultato di spingere la contaminazione al di fuori della zona di esclusione, creando nuovi problemi per le persone e per l’ambiente. I ricercatori stanno ora collaborando con i team scientifici in Giappone, per verificare se a Fukushima si sia verificato un simile effetto.