Sofosbuvir, l’antiepatite C da 84mila dollari

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Autorizzato in Usa è capace di eliminare sino al 95% dei casi il virus epatotossico dall’organismo di coloro che ne risultano portatori. In arrivo anche in Italia ma si pone il problema del costo e considerato il potenziale bacino di utilizzo, dato dal numero dei soggetti infettati dal virus, si stima che in Italia, significherebbe di fatto escludere ogni altra forma di assistenza farmaceutica per tutti gli altri cittadini ponendo le premesse per la determinazione di un minimo di priorità nella scelta dei pazienti da trattare

Da poche settimane l’Fda, l’Agenzia americana del farmaco, ha autorizzato la nuova e promettente cura contro l’epatite C a base di un nuovo principio, il sofosbuvir, capace di eliminare sino al 95% dei casi il virus epatotossico dall’organismo di coloro che ne risultano portatori. Una notizia per molti aspetti esplosivamente positiva ma ricca di altre problematiche di grande impatto sociale.
L’epatite C, intanto ricordiamolo, è una patologia di grande rilevanza generale, per via della sua diffusione, per via della difficoltà della sua gestione, per via, infine, della sua facile progressività verso malattie estremamente complesse come la cirrosi o il tumore del fegato. È una patologia che interessa circa 170 milioni di persone nel mondo di cui quasi 9 milioni in Europa e che determina, nella sua evoluzione, circa 10mila morti l’anno nel solo nostro Paese.
Una malattia in molti casi controllabile, a tutt’oggi, con l’impiego di altri antivirali come la ribavirina (RBV) e l’interferone pegilato alfa (peg-IFN) utilizzati in genere in associazione, capaci di combattere la progressione della malattia ma non adatto a tutte le tipologie di pazienti. Il sofosbuvir (commercializzato dalla Gilead in compresse orali per monosomministrazione giornaliera) è un analogo nucleotidico inibitore della polimerasi e viene proposto in schemi terapeutici che prevedono l’associazione con RBV e peg-IFN secondo modalità diverse a seconda della tipologia genetica del virus: in particolare, gli studi Neutrino e Fusion hanno dimostrato la superiorità terapeutica del sofosbuvir rispetto alle terapie tradizionali ed il Positron rispetto al placebo; il Valence lo ha testato nel caso di virus di genotipo 3 (con una risposta positiva nell’84% dei pazienti trattati) mentre il Photon-1 nel caso di virus di genotipo 2, 1 e 3 (con risultati positivi sino al 92%). Attualmente i pazienti trattati in Fase 2 e 3 con sofosbuvir sono quasi 3.000, con risultati complessivi assolutamente incoraggianti ed in sostanziale assenza di fenomeni avversi tali da dover richiedere la sospensione della terapia.
In attesa dell’arrivo del farmaco dalla Gilead sul mercato italiano, però, si pongono alcuni problemi, primo fra tutti il costo del farmaco, che in America costa circa 84mila dollari per le complessive 12 settimane di terapia. Considerato il potenziale bacino di utilizzo, dato dal numero dei soggetti infettati dal virus, si stima che in Italia, a queste condizioni, sottoporre tutti i pazienti «bisognosi» a terapia con sofosbuvir significherebbe di fatto escludere ogni altra forma di assistenza farmaceutica per tutti gli altri cittadini. Un dato sconvolgente, che impone una riflessione sulle modalità di utilizzazione del farmaco e che crea le premesse per la determinazione di un minimo di priorità nella scelta dei pazienti da trattare.
Si pone cioè un problema etico e deontologico (oltre che, ovviamente, economico): chi trattare e chi non trattare? Chi trattare prima e chi trattare dopo? È giusto, in un contesto di risorse limitate, mettere a disposizione di alcuni un farmaco ipercostoso se questo significa (o può significare) ridurre l’assistenza medica (in termini di farmaci, supporti non farmacologici e così via) per molta altra gente altrettanto bisognosa? Ovvio che si creerà uno spartiacque pericolosissimo fra chi, affetto da epatite C chiede e chiederà di essere sottoposto a terapia con sofosbuvir e chi invece rischierà di vedersi ridurre l’assistenza a vari livelli (l’assioma secondo cui le risorse sono per definizione limitate vale per l’ecologismo così come per l’economia sanitaria). Né si può sempre rispondere alle sollecitazioni che provengono da una scienza medica sempre più raffinata e capace di offrire soluzioni valide ancorché costose con il refrain che «il problema è un altro» o che «le risorse verranno fuori».
Personalmente siamo convinti che fra non molto assisteremo all’esplosione deflagrante di fortissime contraddizioni sui temi della sanità poiché metodologie diagnostiche innovative ed avveniristiche associate alla possibilità di cure efficaci ed originali porranno sul tappeto la questione di cosa dare ed a chi. Per non parlare delle mille riflessioni su una ricerca sempre più appaltata a privati (autorizzati a fissare il prezzo dei propri prodotti senza dover rispondere ad altro che non sia la logica di mercato: ma di questo parleremo in una delle prossime Pillole!) e quindi gestibile con enorme difficoltà da parte di uno Stato che, per essere veramente garante della salute dei suoi cittadini, deve cercare e trovare in tutta fretta risorse economiche sempre più colossali.
Il caso sofosbuvir ci dice che la ricerca può fare molto per migliorare la vita di tutti. Allo stesso tempo, però, ci ricorda, in modo angosciante, che si approssima a grandi passi un futuro nel quale molte scelte si faranno sempre più drammaticamente urgenti.

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