Un gruppo di ricerca internazionale che vede protagonisti l’Istituto di geoscienze e georisorse del Cnr e l’Università di Padova ha allargato le conoscenze sui più antichi artropodi mai inglobati in ambra. È stato così possibile stabilire anche in che modo ci cibavano e come penetravano nelle piante
Nel 2012 ha suscitato grande interesse la notizia del ritrovamento di due acari e un moscerino risalenti al periodo triassico, oltre 230 milioni di anni fa, inglobati all’interno di goccioline di ambra rinvenute nelle Dolomiti, vicino a Cortina d’Ampezzo. Un nuovo studio pubblicato in questi giorni sul «Journal of Systematic Palaeontology», condotto da un team internazionale di ricerca che ha visto la partecipazione dell’Università di Padova e dell’Istituto di geoscienze e georisorse del Consiglio nazionale delle ricerche (Igg-Cnr), sempre di Padova, aggiunge ulteriori conoscenze sulla vita e sull’evoluzione di un gruppo di artropodi (invertebrati che comprendono gli insetti, i ragni e i crostacei) tra i più diffusi al mondo.
«Al fine di descrivere in modo più approfondito le due specie di acari triassici Ampezzoa triassica e Triasacarus fedelei, appartenenti alla famiglia Eriophyoidea – spiega Eugenio Ragazzi dell’Università di Padova – le due minuscole goccioline di ambra, della dimensione di pochi millimetri, sono state sottoposte a uno speciale procedimento di rivestimento in resina, per consolidare e proteggere l’ambra, e di delicata levigatura della superficie per osservare meglio il contenuto al microscopio». Con grande sorpresa, nella goccia che conteneva l’esemplare di Triasacarus fedelei sono stati scoperti altri due individui della stessa specie, più piccoli e quindi più giovani, che hanno fornito interessanti dettagli sulla crescita di questi acari dotati di due paia di zampe invece delle quattro consuete.
«La sorpresa è stata ancora maggiore dopo l’identificazione, sempre nella stessa goccia, di altri due acari appartenenti a due nuove specie, denominate Minyacarus aderces e Cheirolepidoptus dolomiticus – continua Guido Roghi dell’Igg-Cnr – a indicare come questi artropodi fossero già nel Triassico un gruppo altamente specializzato. Forma e dimensione di corpo e apparati boccali suggeriscono strategie alimentari diverse nell’adattarsi alla pianta ospite». «L’indagine paleobotanica sui resti fossili delle piante su cui vivevano e che essudavano la resina che li ha inglobati ha permesso – spiega Roghi – di identificare conifere della famiglia delle Cheirolepidiaceae, oggi estinte. Questi animali potevano nutrirsi accedendo attraverso gli stomi delle foglie ai tessuti vegetali meno coriacei».
Lo studio ha dimostrato come gli animali potevano vivere su queste piante, nonostante la produzione di resina, in quanto la secrezione resinosa avveniva prevalentemente nel fusto legnoso, lasciando agli acari uno spazio vitale sulle foglie. «Questi animali – concludono Ragazzi e Roghi – si nutrivano di conifere gimnosperme che vivevano nel Triassico, decine di milioni di anni prima della comparsa delle angiosperme di cui si nutrono oggi nella quasi totalità le specie della stessa famiglia degli Eriophyoidea tuttora esistente».