Una carovana per salvare il diritto ai semi

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I cittadini europei devono conoscere i rischi che stiamo correndo e chiedere una normativa sementiera che riconosca diritti collettivi sulle varietà locali, consenta agli agricoltori l’autoproduzione e il libero scambio delle sementi e la loro non brevettabilità. È di questi semi che abbiamo bisogno per l’agricoltura e il cibo del futuro

Salvare i semi tradizionali e quindi le qualità agricole locali, arginare la monocoltura industriale dei semi. A chiederlo sono, solo in Italia, le 26 associazioni che partecipano al Festival dei semi, prima tappa della «Carovana internazionale dei guardiani dei semi» organizzata da Navdanya International, Seed Freedom e capeggiata dall’attivista indiana Vandana Shiva.
La carovana è partita dalla Grecia, dal 14° «Festival panellenico dello scambio di varietà locali», e (attraverso le due tappe italiane di Firenze per il «Festival dei semi, del cibo e della democrazia della terra» il 28 e 29 aprile e di Genova per l’incontro con Terra Onlus e i coltivatori degli orti urbani) arriva il primo maggio in Francia per il «Festival internazionale dei semi» che si tiene a Mas d’Azil, ai piedi dei Pirenei francesi. Della carovana fanno parte agricoltori greci, bulgari, americani, italiani, francesi, tedeschi e indiani, mentre al Festival francese sono attesi rappresentanti delle organizzazioni contadine di gran parte d’Europa e del Sud America.

«Il movimento per il recupero dei semi locali in agricoltura parte dalla cancellazione, di fatto, della possibilità degli agricoltori di tutto il mondo di tramandare le sementi coltivate nei propri campi e che sono libere, rinnovabili, fuori dai brevetti» spiega Vandana Shiva, che con la sua associazione Navdanya («Nove semi») ha contribuito a realizzare ben 111 banche comunitarie di semi, coinvolgendo circa mezzo milione di contadini indiani negli ultimi 20 anni nella difesa della sovranità alimentare.
«Le multinazionali monopolizzano il mercato delle sementi, di fatto controllando il cibo in tutto il mondo. Oltre i tre quarti dei semi utilizzati provengono dall’agroindustria. Questo genocidio delle tradizioni alimentari e culturali si traduce in un vero e proprio furto di denaro a danno degli agricoltori, che destinano una parte consistente delle loro risorse all’acquisto di sementi. Ma anche in un vero e proprio furto di democrazia. Rivendicare i semi e la terra come beni comuni è diventato vitale per affrontare e risolvere la crisi economica creando opportunità di vita e lavoro per le giovani generazioni. Salvare i semi significa seminare il futuro», aggiunge l’ecologista indiana.
Di fatto, l’erosione genetica delle varietà tradizionali colpisce il mondo più sviluppato come quello più povero. In Messico, culla storica del mais, si sono perse l’80 per cento delle varietà tradizionali; in Italia sono a rischio circa 500 specie di piante alimentari e un numero difficilmente calcolabile di varietà. La perdita di biodiversità colturale porta, e ha già portato in passato, a forti carestie e problemi per la salute delle colture che, non differenziandosi più a livello genetico, possono ammalarsi gravemente distruggendo interi raccolti.

«In Europa l’attuale normativa sementiera per garantire varietà commerciali uniformi e stabili a sostegno dell’unico modello di agricoltura industriale sta facendo scomparire le varietà tradizionali mettendo a rischio la nostra sicurezza alimentare – sottolinea Maria Grazia Mammuccini, vicepresidente di Navdanya International – e la proposta di nuovo regolamento che si stava discutendo a livello europeo rischiava di peggiorare ulteriormente la situazione portando di fatto ad estendere la possibilità di brevetto anche alle sementi non Ogm con un ulteriore passo in avanti nel controllo totale del cibo da parte delle multinazionali. I cittadini europei devono conoscere i rischi che stiamo correndo e chiedere una normativa sementiera che riconosca diritti collettivi sulle varietà locali, consenta agli agricoltori l’autoproduzione e il libero scambio delle sementi e la loro non brevettabilità. È di questi semi che abbiamo bisogno per l’agricoltura e il cibo del futuro.
Così, il Festival di Firenze (che si svolge tra Piazza SS. Annunziata, l’Orto Botanico e Palazzo Budini Gattai) rappresenta una sorta di atto di «disobbedienza civile», durante il quale i semi non verranno venduti ma scambiati.
Dalla grande varietà di fagioli greci portate da Peliti, al farro monococco alle 30 varietà di patate e 20 di fagioli portate da Viviano Venturi fondatore dell’Associazione Agricoltori Custodi. Dai pregiati formaggi prodotti con il latte della Bionda dell’Adamello, la capretta della Val Camonica, alle marmellate del Parco nazionale delle Dolomiti Bellunesi, sino ad arrivare alle farine anallergiche selezionate tra le sementi di cereali antichi, adatte anche a chi soffre di intolleranze alimentari e macinate a pietra, alla maniera di una volta.
Oltre alle prelibatezze della Terra, il Festival propone attività tradizionali legate alla vita rurale: un grande forno a legna sarà allestito al centro della piazza, per dare vita ad un laboratorio di panificazione con farine macinate a pietra. E per valorizzare il concetto di democrazia dei semi, un laboratorio organizzato dall’associazione Seed Vitious che realizzeranno con i bambini dei seed-bomb: piccole «bombe» di semi costruite con argilla, che faranno esplodere negli orti, giardini e balconi cittadini colorate piante caratteristiche del territorio toscano.