Ma serve una legge che sia netta e non esponga i Paesi ai ricatti delle multinazionali. Vigilare per non indebolire la posizione di vantaggio dell’Italia sulla tipicità dei prodotti. Riserve motivate da parte di Greenpeace, Slow Food e Cia
Finalmente qualcosa si muove a proposito di Ogm. Con i lenti tempi della politica, cioè dopo tre anni di stallo, i ministri dell’Ambiente dovranno votare un testo di legge con il quale ogni paese potrà scegliere se adottarli o meno e il testo dovrà poi tornare al Parlamento europeo per la seconda lettura.
Insomma è stato partorito il solito topolino… si direbbe una soluzione democratica invece sembra più una soluzione pilatesca. Ed inoltre con questo provvedimento si impedisce agli Stati membri di utilizzare le motivazioni legate ai rischi per salute e l’ambiente derivanti da colture Ogm per limitarne la coltivazione a livello nazionale.
Ve l’immaginate un imprenditore agricolo che oltre a combattere con l’importazione di frutta dall’Argentina e di mais dall’est dovrà pure valutare i prezzi? E secondo voi in una situazione di concorrenza contro le multinazionali dell’Ogm nel paese vicino chi vincerà il confronto?
Certo, si dirà la qualità e la tradizione, si dirà che la tipicità dei prodotti è ben salda in Italia, ma si dimentica che le leve dell’economia che determinano le scelte di mercato e quindi dei cittadini sono un’altra cosa. Esempio? Le statistiche, in questi anni di crisi, ci hanno consegnato le scelte dei consumatori che si sono adattati a comprare anche cibi scaduti… e poi c’è la questione ancora irrisolta della trasparenza delle etichette.
Non a caso Greenpeace e Slow Food ritengono che il testo attuale della legge rischia di trasformarsi in una trappola per i Paesi che non vogliono organismi geneticamente modificati. In un comunicato le due Associazioni sottolineano che «il testo presentato dalla Grecia dà poche garanzie di reggere in sede legale: quei Paesi, come l’Italia, che vogliono dire no agli Ogm sarebbero esposti alle ritorsioni legali del settore biotech». Inoltre, secondo Greenpeace e Slow Food si darebbe alle aziende biotech un ruolo formale nel processo di messa al bando della coltivazione di Ogm.
Per la Cia (Confederazione italiana agricoltori) si tratta di un passo avanti fondamentale per giungere a una soluzione definitiva della questione, anche in Italia dove da tempo è stata richiesta l’attivazione della clausola di salvaguardia.
Oggi la maggior parte dei consumatori e dei produttori europei si muove in direzione opposta agli Ogm. Non solo tre cittadini su cinque in Ue sono contrari ai cibi «biotech», ma la stessa superficie agricola comunitaria dedicata alle colture geneticamente modificate è irrisoria, rappresentando lo 0,001 per cento del totale. In Europa, ricorda la Cia, sono solo 5 Paesi (Spagna, Portogallo, Repubblica Ceca, Slovacchia e Romania) a coltivare Ogm, con 148.013 ettari nel 2013, una percentuale più che esigua rispetto al totale della superficie agricola utilizzata nell’Ue che ammonta a circa 170 milioni di ettari.
Da parte della Cia non c’è un atteggiamento oscurantista o ideologico, né una preclusione nei confronti della ricerca, ma bisogna tutelare le esigenze peculiari delle produzioni tipiche dei territori agricoli italiani. Il «no» agli Ogm della Cia «scaturisce dalla consapevolezza che la loro introduzione può annullare la nostra idea di agricoltura e il maggiore vantaggio competitivo che abbiamo all’estero. D’altra parte, la domanda alimentare nel nostro Paese è chiara e netta: prodotti di qualità, tracciabili, biodiversi, tipici, che fanno grande il “made in Italy” nel mondo, con esportazioni che muovono 34 miliardi di euro l’anno. E i mercati stranieri chiedono vini, oli, formaggi, salumi e trasformati tipici dei nostri territori, con i loro sapori caratteristici assolutamente non omologabili».
Insomma perché farci del male? Nel semestre italiano pensiamo a rafforzare la norma sulla ri-nazionalizzazione per garantire reale solidità giuridica alle iniziative di quegli Stati membri che intendono vietare la coltivazione di Ogm sul proprio territorio.