Stimare la pioggia dal basso anziché dall’alto

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foto di P. Catino
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Un nuovo sistema di misura delle precipitazioni che si basa sul contenuto d’acqua rimasto al suolo, rilevato anche da satellite, permette di stimare il rischio di frane e inondazioni anche in zone non servite da sistemi di misura a terra. Lo studio è in collaborazione tra due Istituti Cnr (Istituto di ricerca per la protezione idrogeologica e Istituto di scienze dell’atmosfera e del clima) ed è pubblicato sul «Journal of Geophysical Research»

Per quantificare precisamente le precipitazioni al suolo e ridurre il rischio di eventi alluvionali e frane, due Istituti del Consiglio nazionale delle ricerche (l’Istituto di ricerca per la protezione idrogeologica, Irpi-Cnr, e l’Istituto di scienze dell’atmosfera e del clima, Isac-Cnr) hanno da poco sviluppato un nuovo algoritmo denominato Sm2Rain. I risultati della ricerca sono stati pubblicati sul «Journal of Geophysical Research» e citati nei «Research Highlights» di «Nature».
«Abbiamo sviluppato una tecnica innovativa per la stima da sensori satellitari delle precipitazioni, che utilizza misure di contenuto d’acqua del suolo anziché, come nelle metodologie tradizionali, informazioni relative alle nubi: un approccio bottom-up e non top-down, in pratica – spiega Luca Brocca, ricercatore Irpi-Cnr e autore della ricerca – misurando da satellite e/o in situ le variazioni della quantità di acqua contenuta al suolo è possibile stimare le precipitazioni cadute sul suolo stesso, che è considerato come una sorta di pluviometro naturale».
L’algoritmo utilizza, come dati, le quantità dell’acqua assorbita dal terreno, di quella evaporata e di quella che resta in superficie: «In termini tecnici, Sm2Rain fa riferimento all’inversione dell’equazione di bilancio idrologico del suolo calcolando la ripartizione delle precipitazioni in infiltrazione, evapotraspirazione e deflusso. Assumendo che l’evapotraspirazione e il deflusso durante un evento di pioggia sono trascurabili, si ottiene una relazione esplicita che fornisce la stima delle precipitazioni in funzione del solo contenuto del suolo – conclude Brocca -. L’approccio è stato applicato a scala globale in molte aree del pianeta tra cui Mediterraneo, Australia, India, Cina, Sud Africa e parte centrale degli Stati Uniti d’America, e ha fornito risultati anche più accurati rispetto alle tecniche tradizionali che hanno importanti ricadute per la previsione degli eventi idrologici estremi quali piene fluviali e frane, poiché rende possibile la stima delle precipitazioni e la gestione del rischio anche in assenza di pluviometri e sistemi di misura a terra».
La ricerca sui satelliti meteorologici per misurare le precipitazioni in maniera precisa ed efficace è sempre più considerata: il 27 febbraio scorso è stato lanciato il nuovo satellite della missione congiunta Nasa-Jaxa Gpm (Global Precipitation Measurement), che rappresenta un ulteriore importante sviluppo per la stima delle precipitazioni da remoto.

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