Tumori, inquinanti, prevenzione e diagnosi precoce

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L’aumento della presenza delle condizioni neoplastiche fra i meno giovani significa innanzitutto che vivono più anziani in genere, come dicevamo, e che quindi quelle malattie proprie della terza età hanno la possibilità di esprimersi ed evidenziarsi. Ma non solo di maggiore durata della vita media si deve parlare. Altri fattori rilevanti sono rappresentati dalla maggiore attenzione verso le procedure di diagnosi precoce e dalla maggiore efficacia delle cure mediche

I dati che emergono dall’indagine Istat in tema di neoplasie, raccolti nella ricerca più complessiva dal titolo «Tutela della salute e accesso alle cure» e riferiti all’anno 2013 sono indubbiamente interessanti e spingono ad osservazioni di grande rilevanza.
Innanzitutto il primo elemento è dato dall’aumento progressivo di una vasta serie di patologie croniche in primo luogo nella popolazione anziana: artrosi, diabete, ipertensione, osteoporosi, vale a dire tutte le malattie tipiche della terza età, sempre più frequenti perché l’aumento della vita media determina una maggiore presenza dei «mali» tipici dell’età avanzata con la necessità di provvedere alla loro gestione, sia in termini di stile di vita sia in termini di approccio terapeutico e follow up.
Si vive di più, questo è un dato inoppugnabile, e si paga in termini maggiori lo scotto della rilevanza, negli ultimi anni di vita, di quelle forme degenerative che sono appannaggio peculiare o almeno predominante di quella fase della vita: negli ultimi trent’anni le donne hanno vissuto ben 6,5 anni in più che nel passato rispetto alle donne della generazione precedente mentre gli uomini hanno guadagnato ben 8 anni di vita in più. L’età media si posiziona su 84,5 anni per gli uomini e 79,4 per i maschi con una tendenza all’ulteriore aumento delle aspettative di esistenza.
Merito delle migliori condizioni di vita in generale e di un maggior grado di diagnosi precoce e di terapia: tutte condizioni che permettono di gestire per un tempo maggiore quelle stesse forme patologiche che in passato «duravano meno» perché coloro che ne erano affetti avevano una vita più breve e quindi davano luogo a numeri meno rilevanti, esigendo al tempo stesso un contributo socio assistenziale meno impegnativo.
Il discorso vale anche (e forse soprattutto) per le neoplasie, malattia tipica dell’età senile per la grande maggioranza delle forme, al punto che nel 2013 i dati Istat evidenziano il dato per alcuni aspetti preoccupante ma per altri versi incoraggiante secondo cui saremmo di fronte ad una crescita del 60% del numero degli italiani over 65 che hanno avuto o hanno una diagnosi di patologia oncologica.
Per quale motivo possiamo definire incoraggiante un dato così importante che, decontestualizzato, potrebbe dare adito ad un atteggiamento pessimistico e frustrante? Il motivo non è singolo ma è invece il risultato di più fattori che agiscono contemporaneamente e danno luogo a questa presenza maggiore che in passato di quelle forme tumorali che, è bene dirlo forte e chiaro, non significano in alcun modo condizione di malattia invalidante o di morte.
L’aumento della presenza delle condizioni neoplastiche fra i meno giovani significa innanzitutto che vivono più anziani in genere, come dicevamo, e che quindi quelle malattie proprie della terza età hanno la possibilità di esprimersi ed evidenziarsi (al contrario di quanto accadeva in passato, quando la più breve durata della vita media degli italiani non permetteva al tumore di formarsi e progredire, determinando la necessità di diagnosticarlo, curarlo e spesso guarirlo). Ma non solo di maggiore durata della vita media si deve parlare. Altri fattori rilevanti sono rappresentati dalla maggiore attenzione verso le procedure di diagnosi precoce e dalla maggiore efficacia delle cure mediche.
I dati dell’Associazione italiana registri tumori stimano in circa 2.800.000 gli italiani affetti da tumori maligni (di ogni genere) nel 2013 a fronte di 2.250.000 del 2006 con un complessivo miglioramento, però, della prognosi ed un’aspettativa migliore in termini di sopravvivenza e guarigione.
Com’è noto, le neoplasie sono, proprio per queste ragioni, in aumento in tutto il mondo (le statistiche dell’Oms parlano di 14,1 milioni di malati di cancro nel mondo ed 8,2 milioni morti a causa della malattia) per il 2012 mentre gli stessi dati relativi al 2008 raccontavano di 12,7 milioni di malati e 7,6 milioni di decessi. Un trend generalizzato, insomma, in cui ad un aumento della vita media corrisponde una maggiore probabilità di presentare la malattia ma, al tempo stesso, una migliore capacità di gestirla.
Gestirla come? Innanzitutto tentando una forte politica di riduzione dei fattori di rischio (dalla riduzione degli inquinamenti ambientali alla lotta all’obesità ed al fumo), perché il tumore è una patologia che cresce pian piano e si nutre di quegli elementi distorsivi presenti nell’ambiente in cui si vive e nell’organismo di chi sottovaluta la portata cancerogenica di un’alimentazione eccessiva o errata o di comportamenti patologici come, in primis, l’abitudine tabagica o etilica.
Poi con una rigorosa politica sanitaria di diagnosi precoce. E qui, per noi italiani, i problemi diventano di due generi perché accanto ad una ancora inadeguata gestione sanitaria complessiva del problema si evidenzia anche una sperequazione importante fra le realtà del Nord e quelle del resto della penisola. Se è vero che è aumentata la quota di donne che si sottopongono con una certa regolarità a mammografia o a pap-test è anche vero che al Sud le cose procedono più a rilento, con un tributo assolutamente inaccettabile alla disorganizzazione o alla mancanza di strutture deputate o con la «ordinarietà» di tempi d’attesa in certi casi davvero biblici. I programmi di screening dei tumori del colon, che si avvalgono della possibilità di scoprire sanguinamenti intestinali già nelle fasi iniziali della vita di un tumore, sono poco più che simbolici e la ricerca del sangue occulto nelle feci non è vissuto dai meridionali come un vero e proprio programma di analisi precoce.
Le linee guida sono chiare e la strada da seguire è ben indicata da tutti i programmi nazionali ed internazionali: ogni forma di incertezza o di omissione può rappresentare il vero grande problema nella gestione di quelle patologie neoplastiche con le quali dovremo abituarci a convivere sempre più se la durata della vita media (e la permanenza di inquinanti e di stili di vita errati) continuerà a ribadirsi. In questo contesto i meridionali devono darsi uno scatto in più, per recuperare anche quel terreno perduto, rispetto al resto della realtà nazionale, che non può essere vissuto come un dato ineludibile.

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