Occhio alla medusa…

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Il progetto messo a punto dal prof. Ferdinando Boero, biologo marino dell’Università del Salento e Cnr-Ismar, deriva dal voler documentare qualcosa che è sotto gli occhi di tutti. Perché l’aumento di questa specie. Le responsabilità della pesca. C’è qualche specie molto pericolosa per l’uomo

È arrivata l’estate e insieme ad essa anche la richiesta da parte dei bagnanti di ragguagli in merito a come proteggersi dalle meduse che abitano, in numero sempre più consistente, i nostri mari.
Per dare risposte a queste esigenze c’è l’autorevole voce del prof. Ferdinando Boero, docente di biologia marina all’Università del Salento, il quale ha messo a punto un progetto che porta il nome «Occhio alle meduse».
Il progetto si basa sulla «scienza dei cittadini», in quanto coinvolge ogni cittadino a contribuire per informare sugli avvistamenti delle meduse, permettendo in tale maniera ai biologi marini di mappare la loro presenza nelle acque del Mediteraneo.
Sappiamo infatti che l’impatto delle meduse sugli ecosistemi e sulle attività umane, dalla pesca alla produzione di energia, è ormai forte. Ma sono ancora pochi i ricercatori che si occupano di questi organismi e dei loro simili che fanno parte del cosiddetto microzooplancton gelatinoso.
Il progetto italiano «Occhio alla medusa» coinvolge, nello studio di questi organismi e affini nel Mediterraneo, i cittadini, i quali, grazie alla possibilità di inviare segnalazioni e immagini in tempo reale, sono protagonisti della ricerca.
Iniziato nel 2009, questo progetto di scienza partecipata è considerato globalmente come quello di maggior successo nell’ambiente marino. Uno dei risultati più recenti è stata la scoperta di una nuova specie di medusa, Pelagia benovici, segnalata nel golfo di Venezia e in quello Trieste.
Il progetto messo a punto dal prof. Ferdinando Boero, biologo marino dell’Università del Salento e Cnr-Ismar, deriva dal voler documentare qualcosa che è sotto gli occhi di tutti.
E allora come rilevare qualcosa che è alla portata di tutti ma che gli strumenti non rivelano?
Impegnare gli occhi di tutti, appunto. Basta chiedere ai cittadini.
In verità, in molti ambiti della scienza già si usa la testimonianza dei cittadini (o citizen science) per avere informazioni da persone comuni che abbiano una certa sensibilità e attenzione nei confronti della natura.

Aiutiamo la ricerca

Ora, la campagna avviata dal team del prof. Boero si riferisce a tutto il macrozooplancton gelatinoso, non solo alle meduse. Certamente chiamare l’iniziativa «Occhio al macrozooplancton gelatinoso», sarebbe stato un gran fiasco, certamente, già nel titolo, non compreso dai più.
E quindi, scendendo a patti con il rigore scientifico, si è scelto di identificare il tutto con il solo termine di «meduse» spiegando che dire «meduse» è certamente un’espressione molto generica ed è come voler dire «animali che volano», e includere in un solo termine uccelli, pipistrelli e insetti.
Il lavoro portato avanti dal team ha visto da subito i suoi primi risultati che hanno imposto, già dopo il primo anno di attività, la stampa di nuove versioni di poster che raffigurassero altre specie le cui foto erano spedite da cittadini attenti che immortalavano specie mai state viste nei nostri mari, specie aliene provenienti da altre aree geografiche.
Ed è così che si è aggiunta la Phyllorhiza punctata, con ombrello azzurro a pallini gialli, entrata dal canale di Suez e di provenienza indo-pacifica e a lei sono susseguite altre.
Certamente è utile segnalare che la più cattiva di tutte risulta la Physalia physalis che, in realtà non è una medusa bensì un sifonoforo. La colonia ha una vescica galleggiante piena di gas, e sotto penzolano molti tentacoli armati di cnidocisti (gli organelli tipici degli cnidari, microsiringhe che iniettano sostanze tossiche nelle prede) che contengono un veleno che può essere mortale anche per gli esseri umani.
Si segnala, per l’appunto, una vittima in Sardegna nel 2010.
Molto più comune è la Pelagia noctiluca. Violetta, con ombrello di circa dieci centimetri, la P. noctiluca forma grandi sciami che flagellano i bagnanti in estate.
Molte meduse hanno uno stadio di polipo, un animaletto che vive attaccato agli scogli.
Quando le meduse non ci sono, di solito sono sul fondo del mare sotto forma di polipi e quando poi arrivano in grande quantità la colpa è dei polipi che le hanno prodotte. Il ciclo prevede quindi una forma bentonica (il polipo che vive sul fondo) e una planctonica (la medusa). Ma la P. noctiluca non ha polipo.
Le segnalazioni dei cittadini rivelano che la P. noctiluca è rara in Adriatico, dove ci sono altre meduse di solito meno urticanti. Mentre è comune in Ionio, Tirreno e Mar Ligure.
L’unico posto dove si trova tutto l’anno è lo stretto di Messina.

L’arrivo di una nuova specie

Nel corso degli anni, sino ad arrivare tra la fine del 2013 e l’inizio del 2014, sono state avvistate e fotografate meduse abbondanti nel golfo di Venezia e nel golfo di Trieste.
Per fortuna nessuno faceva il bagno, ancora.
La cosa è stata presa in carico dai ricercatori dell’Università di Padova i quali hanno poi spedito campioni di materiale al gruppo di ricerca coordinato dal prof. Boero.
Era una specie mai stata vista. Il lavoro di squadra ha portato alla raccolta di campioni, alla ricerca bibliografica, all’esecuzione di test genetici e all’esame nelle banche dati di DNA di specie già conosciute. La medusa misteriosa era certamente una Pezionelagia, ma non è la solita Pelagia noctiluca, anche i geni lo confermavano.
Insomma una nuova specie da descrivere chiamata Pelagia benovici, in onore dello studioso, Adam Benovic, recentemente scomparso. È una specie di cui si ignora la provenienza, probabilmente è stata trasportata con le acque di zavorra di qualche nave e ha trovato condizioni favorevoli allo sviluppo di una grande popolazione. Non si sa se possa continuare a vivere in abbondanza nel nostro mare fino a stabilirsi in modo permanente o si estinguerà localmente.
Il suo ciclo biologico è un mistero.
Nel contempo il team di ricerca ha conseguito grandi successi in progetti europei.
In ordine, il progetto Med-Jellyrisk, coordinato da Piraino, dedicato alle meduse, e poi il progetto bandiera Ritmare, e i progetti europei Perseus e CoCoNet.

Perché tante meduse?

Ma perché le meduse sono, in questo momento storico, così abbondanti nei nostri mari?
Anche in passato le meduse, e altro plancton gelatinoso, hanno fatto periodicamente la loro comparsa, con popolazioni enormi che, dopo un periodo di abbondanza, sono tornate ad essere relativamente rare. Ora sembra che la questione sia diventata una costante, gli eventi anomali di un tempo sono diventati normalità.
E allora come spiegare questo fenomeno?
In biologia spesso vige la causalità multipla.
Certamente l’altissima efficienza della pesca industriale sta consumando le risorse ittiche a livello globale e la natura che non ama il vuoto, il vuoto lasciato dai pesci, è riempito dalle meduse.
Anche il riscaldamento globale ha il suo ruolo. Tutti gli animali, con il loro metabolismo, bruciano le risorse che li sostengono e per farlo consumano ossigeno e producono anidride carbonica. Le piante, poi, pareggiano il conto, producendo ossigeno e consumando anidride carbonica. Gli uomini però bruciano anche altre cose oltre al cibo come il carbone, il petrolio, il legno e così facendo consumano altro ossigeno e producono altra anidride carbonica.
L’effetto serra, pertanto, causa il riscaldamento globale e il Mediterraneo ne risente arricchendosi di specie tropicali che stabilizzandosi nelle nostre acque provano il cambiamento delle condizioni preesistenti di un luogo che è ora divenuto abitabile da specie tropicali, come le nuove arrivate Rhopilema nomadica, Marivagia stellata, Phyllorhiza punctata e Cassiopea andromeda.
Il ristabilirsi di una situazione normale sarà possibile quando ci impegneremo ad affrontare una pesca sostenibile e responsabile lasciando ai pesci la possibilità di produrre nuovamente grandi popolazioni. Le loro larve competeranno nuovamente con le meduse per mangiare il plancton e le spingeranno verso la marginalità del passato.
Di contro, sicuramente è utile ricordare che le meduse che abitano gli oceani di tutto il mondo non sono molto differenti dalle meduse di 600 milioni di anni fa, di cui abbiamo testimonianze fossili. Gli altri animali si sono evoluti solo 100 milioni di anni dopo, durante l’esplosione del Cambriano, e i progenitori degli animali attuali erano molto diversi dai loro discendenti. Questo non è avvenuto per le meduse, e il motivo è uno solo: sono animali perfetti, dato che il loro piano strutturale ha saputo adattarsi, senza cambiare, a tutti gli eventi che hanno costellato la storia della vita, senza necessità di mutare. In altre parole, sono gli animali più evoluti del pianeta.
Pertanto, le meduse, pur creando qualche problema ai bagnanti, sono animali perfettamente evoluti e esteticamente bellissimi oltre ad essere una delle principali attrattive degli acquari.
Nell’immediato, per dare una risposta concreta a chi il mare lo vive quotidianamente, bisogna capire le specie pericolose per l’essere umano e quelle innocue così da poterci tenere alla larga dalle urticanti e godere della bellezza di quelle più facilmente avvicinabili.

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