Ebola, la morte che spaventa le nostre coscienze

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Senza un contatto diretto con il virus o con chi ne è colpito non si viene contagiati, ricordiamolo, né si viene contaminati maneggiando denaro o nuotando in piscina o al mare in presenza di un malato di Ebola o, ancora, a causa del morso delle zanzare

L’epidemia da Virus Ebola che sta avanzando in centro Africa sta determinando una reazione fortemente allarmata anche nel resto del mondo. I quasi mille morti descritti ed il numero molto più consistente di casi accertati sarebbero sufficienti già di per sé a creare condizioni di apprensione anche per via dell’insufficiente conoscenza della malattia da parte di quanti si sentono in una condizione di pericolo anche senza una vera e propria condizione di esposizione al virus.
In realtà la motivazione del diffuso senso di pericolo sta anche e soprattutto in altri elementi fra i quali la elevatissima facilità di diffusione di Ebola, la mancanza di terapie specifiche e di vaccini idonei, la suggestione rappresentata da film e racconti nei quali quella malattia si associa quasi sempre ad una condizione di invincibile ineluttabilità del decorso, di drammatica impossibilità a difendersi e di rapida progressione dell’infezione.
La malattia da Virus Ebola (Evd) è spesso fatale e presenta tassi di mortalità vicini al 90%; colpisce i primati (scimpanzé, gorilla, scimmie) e l’uomo che verosimilmente ha contratto il virus (i primi dati ufficiali risalgono al 1976) con il contatto manuale con animali infetti vivi o con carcasse di animali morti per l’infezione, fra cui i pipistrelli della frutta (che sembrano essere i principali serbatoi del virus), istrici, antilopi oltre che, come si diceva, scimmie e primati. La manipolazione della carne degli animali ammalati, la sua ingestione, il contatto con le ferite, le mucose, il sangue o i fluidi rappresentano la breccia attraverso cui la propagazione avviene con enorme facilità, determinando l’insorgenza di una malattia ad andamento rapidissimo (l’incubazione varia da 2 a 21 giorni durante il quale il paziente non è contagioso) che si presenta poi con febbre, dolori muscolari diffusi, mal di gola e cefalea, vomito, diarrea, esantema ed ancora con insufficienza epatorenale ed emorragie profuse, sia interne sia esterne. Gli individui colpiti da Virus Ebola e che riescono a sopravvivere all’infezione rimangono contagiosi (con il sangue, le urine, le feci ed il liquido seminale) ancora per circa sette settimane, durante le quali devono attenersi a tutte le norme di precauzione previste, fra le quali l’astensione da ogni rapporto sessuale oppure affidarsi all’uso del profilattico che riesce ad essere una barriera sufficientemente sicura contro la propagazione del virus.
Le stesse manifestazioni funebri per il seppellimento del corpo dei deceduti hanno rappresentato e rappresentano uno dei più importanti focolai di moltiplicazione dei casi proprio a causa del contatto diretto e quasi sempre non protetto del corpo e dei fluidi del cadavere. Motivo per cui si provvede ad una sepoltura immediata ed effettuata con tutte le precauzioni del caso, con indumenti protettivi e guanti da parte degli operatori. Medici e personale sanitario presenti nelle zone colpite dall’epidemia pagano non di rado un tributo altissimo in termini di vite umane proprio a causa dell’estrema facilità con la quale si può entrare in contatto con l’agente della malattia, specie nelle fasi in cui ancora, senza una sintomatologia evidente, la possibilità di compiere errori di gestione e di comportamenti può essere più rilevante.
Senza un contatto diretto con il virus o con chi ne è colpito non si viene contagiati, ricordiamolo, né si viene contaminati maneggiando denaro o nuotando in piscina o al mare in presenza di un malato di Ebola o, ancora, a causa del morso delle zanzare.
Il trattamento della malattia è estremamente aspecifico e ci si deve limitare ad effettuare una terapia intensiva, in isolamento assoluto, con l’aiuto di liquidi reidratanti, per via orale o endovenosa, combattendo la febbre e la perdita di acqua e sali minerali, con la speranza che venga superata la fase critica e che, in quella fase ma anche successivamente, siano ridotte al minimo le possibilità di spargimento ulteriore del virus. Completamente inutile la possibilità di affidarsi, nella gestione dell’Evd, a cibi miracolosi, a piante salvifiche o ad estratti alternativi che, anzi, potrebbero abbassare il livello di guardia e determinare ulteriori problemi sia al paziente sia alla sua comunità.
Attualmente, secondo l’Oms, i Paesi in cui il virus è presente e sta causando morti ed infetti sono la Guinea, la Liberia e la Sierra Leone ma i timori di una propagazione assai maggiore sono elevatissimi e risentono della possibilità di spostamenti rapidi, ad esempio in aereo, di coloro che al momento del viaggio non sanno di essere portatori della patologia oppure ne hanno sintomi iniziali e quindi ancora sfumati.
In realtà però l’epidemia da virus Ebola, per quanto potenzialmente aggressiva per tutti, compresi noi cittadini di un mondo occidentale ed abbastanza ben protetto da contagi virali, rappresenta la faccia drammatica della disperata mancanza di sviluppo di quella parte del mondo ancora priva dei più elementari sistemi di difesa individuale e collettiva contro le malattie che dovrebbe spingerci una volta di più ad interrogarci sulle diseguaglianze con le quali ci siamo abituati a convivere. Ricordandocene solo quando il pericolo si affaccia alle nostre dorate porte oltre le quali si ribadiscono livelli di vita (e di povertà) assolutamente inaccettabili ma regolarmente dimenticati.
È deprimente che le notizie su Ebola, in questi giorni, stiano emergendo nelle cronache mediatiche solo in funzione della possibile diffusione extracontinentale dell’infezione, come se quelli che a morire nel cuore d’Africa, senza sufficienti aiuti e privi anche del minimo indispensabile per farcela, non siano esseri umani come noi.

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