I moderni genitori vanno subito nel panico per un taglietto, un mal di pancia, una piccola febbre… al contrario delle mamme di un tempo che sapevano cosa fare in attesa del medico. Si finisce quasi sempre delegando alle strutture sanitarie i più piccoli problemi e le anche più banali situazioni di malessere. Una sanità migliore parte dalle scuole
Tempi di spending review e/o di razionalizzazione delle spese per la salute, tempi di attenzione quasi nevrotica per la propria salute e di esasperazione di attenzione verso il più piccolo sintomo o, allo stesso tempo, tempi di maggiore sensibilità verso la prevenzione e la corretta gestione del proprio stato fisico. Tempi di internet e di diagnosi spesso superficiali fatte consultando decine di siti fra cui molti inaffidabili ed all’insegna del medioevalismo più sconcertante. Tempi di ambulatori medici sempre pieni e pronto soccorsi affollati non sempre di situazioni meritevoli di vere attenzioni ma al tempo stesso studi medici nei quali qualche volta le vere emergenze vengono trascurate perché manca l’organizzazione e la sensibilità che portano a saper dare le giuste priorità alle cose col rischio di arrivare tardi e male a curare e a indagare.
In una società che domanda salute e vive il tema della malattia in un modo che mai prima d’ora era avvenuto, bombardata da messaggi contrastanti ed ansiogeni, forse dobbiamo chiederci quale possano essere davvero le migliori risposte da dare a chi non sa e a chi vuol sapere: perché conoscere, molto spesso, è il primo vero passo per poter affrontare nella maniera più appropriata la vicenda del proprio rapporto con il benessere e con le possibili patologie.
Spendere per migliorare l’offerta sanitaria complessiva è giusto e prioritario, evitando di limitare sempre più le risorse per la salute; aumentare il numero e la qualità di presidii sanitari efficienti sul territorio è una necessità ed una esigenza; ridurre le sacche di irrazionale spreco delle risorse e di duplicazione di compiti è altrettanto prioritario. Ma forse si può e si deve fare di più, sfruttando un po’ di fantasia e di immaginazione e cominciando a creare un percorso di gestione della salute che cominci a considerare il benessere come bene non solo personale ma anche collettivo (e comportandosi di conseguenza).
Ma come? Per esempio a partire dalle scuole e dalle enormi potenzialità che può avere un approccio di base ai temi della corretta gestione del proprio corpo, della prevenzione delle malattie, della cura di piccoli problemi, della esatta individuazione dei sintomi d’allarme e della conoscenza di quelle procedure che possono da un lato garantire la migliore efficienza dell’intera filiera della battaglia alle malattie, dall’altro, in qualche caso, la più appropriata conduzione di stati di emergenza.
Proviamo ad esser più precisi e partiamo da qualche esempio. Mentre qualche decina di anni fa una mamma dinanzi alla febbricola di un proprio figlio sapeva abbastanza bene come comportarsi (un po’ di panni freddi e bagnati sulla fronte ed una aspirina in attesa del medico oppure una tisana calda in caso di tosse o ancora una camomilla in caso di un piccolo mal di pancia) oggi le mamme un po’ troppo spesso vanno nel panico dinanzi non alla febbre del proprio bambino ma alla semplice idea che possa, nelle ore successive ad un blando malessere, anche semplicemente comparire qualche linea di febbre; mentre qualche anno fa (o ancora oggi in certi contesti) una piccola ferita era gestita (magari con anche troppa superficialità) in maniera autonoma con un po’ di disinfettante ed una fasciatura alla buona; mentre in passato una colichetta veniva abbordata con una pillolina di buscopan in attesa di vedere se passasse o no (e solo dopo si interpellava il medico e quasi mai si andava al pronto soccorso); mentre cioè non molto tempo fa la sensazione era che ciascuno riuscisse, almeno nelle fasi iniziali di un problema di salute, a districarsi sul cosa fare e come farlo, oggi la situazione a cui ci stiamo un po’ tutti abituando è la più totale e completa estraneazione dal concetto di autonomia, con la delega pressoché totale alle strutture sanitarie dei più piccoli problemi e delle anche più banali situazioni di malessere.
Un fatto buono in termini di gestione corretta e precoce di condizioni pericolose ma un oggettivo spreco di risorse ed energie quando invece il banale viene interpretato come eccezionale ed il semplice vissuto come complesso. Col risultato che ormai la gente chiama il medico per le cose più incredibili, non sapendo (qualche volta non volendo) impegnarsi in uno sforzo minimo di compartecipazione al problema.
Diverso sarebbe se i cittadini fossero forniti in misura maggiore di quegli elementi di valutazione e discriminazione che sono utili e preziosi nella vita di ogni giorno e che possono aiutare a comprendere meglio ciò che sta succedendo e cosa sia meglio e giusto fare in determinate circostanze. La paura ed il timore si combattono con la conoscenza e la diffusione del sapere.
Ecco che, perciò, interessante ed importante potrebbe rivelarsi ripartire dalla scuola per svolgere una forte, intensa, capillare e qualificata educazione e formazione sanitaria che ri-crei un tessuto di conoscenze di base a disposizione di tutta la popolazione, proprio a partire dai più giovani. I medici (i giovani in attesa di primo impiego, i medici di famiglia, gli specialisti territoriali) potrebbero/dovrebbero essere coinvolti per tornare a fare vero insegnamento sul campo, preparando questi piccoli cittadini a fronteggiare meglio i temi della salute e della malattia. A partire dalle febbricole o dalle piccole ferite, certo, sino ad arrivare a temi più complessi, come la gestione della sessualità o la lotta alle malattie infettive.
Fra i tanti piani di intervento nell’attività didattica la presenza di un medico che non affronti solo estemporaneamente un tema ma svolga una sorta di programma di educazione sanitaria, a tappeto e con diligenza, potrebbe portare la scuola a fare un salto di qualità notevole, aumentando le competenze e diminuendo i costi pubblici legati ad un uso inappropriato ed a volte irrazionale delle strutture sanitarie.
Sogno un mondo in cui un bimbo spieghi con tranquillità alla mamma come si affronta un taglietto accidentale (prima magari di rivolgersi con calma al proprio medico di famiglia) o in cui un giovane affronti, deciso, l’emergenza di un neonato che ha ingoiato un chicco d’uva praticandogli correttamente una manovra di disostruzione respiratoria (senza stare ad aspettare quell’ambulanza che inevitabilmente, in quel caso, non potrà fare nulla di decisivo). Sogno che quel mondo venga costruito anche a partire dalle aule scolastiche, divenute per l’occasione ed una volta di più non una finestra sul mondo ma una finestra del mondo.
Sarebbe bello e sarebbe anche facile. E forse proprio per questo non ci pensano in molti.