Esperti ed «autorità» erano e sono ancora sostenuti dalla ridicola pretesa di saper addomesticare la natura selvaggia, non educando l’uomo, ma «robotizzando» l’orso. E quindi, come era facilmente prevedibile, hanno perso. O meglio, abbiamo perso tutti, dimostrando ancora una volta che l’uomo odierno, chiuso nel proprio miope egoismo, non è più capace di convivere con la vera natura
Le ultime cronache dal fronte della natura d’Italia sono sempre più sconfortanti: orsi uccisi, alluvioni di chiacchiere inutili, incompetenza dilagante, continui fallimenti. Ma perché?
Negli ultimi mesi hanno occupato prepotentemente le cronache, come mai era avvenuto in precedenza, le drammatiche vicende degli Orsi italiani, dalle Alpi agli Appennini. La nordica Daniza, giudicata e condannata senza appello né contraddittorio, e quindi inseguita, braccata e uccisa, lasciando orfani i suoi due orsacchiotti. Gemma e molti altri orsi marsicani spiati e tormentati, per vederli cadere uno dopo l’altro, sul fronte di una natura che si giura di amare e voler proteggere, ma che è invece sempre più assediata e meno rispettata. Strade diverse, destini separati, ma sempre con un comune fatale epilogo: la morte. Le storie sono molte e si intrecciano, ma per capire cosa sta realmente accadendo basterà qualche semplice riflessione.
Iniziamo dalle Alpi. Daniza non è nata in Italia, ma risulta una «immigrata forzata» di tipo del tutto speciale. Si tratta infatti di una femmina acquistata anni fa in Slovenia, e introdotta poi nel Trentino, con un ambizioso e dispendioso progetto animato dalle migliori intenzioni, ma certo assai poco consapevole delle strategie che occorre seguire di fronte alle personalità evolute e complesse dei plantigradi.
Strappare un pacifico animale vagabondo a montagne boscose, tranquille e poco popolate come quelle della Slovenia, catapultandolo all’improvviso nei territori ben più ampiamente antropizzati del Trentino, dove tra malghe e colture l’incontro con l’uomo è assai più frequente, e la gente locale non è stata adeguatamente preparata, significa provocare una quantità di nuove situazioni impreviste, sempre stressanti per un animale selvatico, ma particolarmente delicate per una femmina con i cuccioli.
Inutilmente da anni il Gruppo Orso aveva tentato di far capire che sarebbe stato assai meglio favorire il graduale e spontaneo ritorno del grande mammifero vagabondo dalla Slovenia verso Occidente, creando un «corridoio ecologico» di ambienti naturali non contaminati da veleni, e ricchi di frutta, bacche e insetti, sostenuto anche dagli stessi produttori di mele. Questa «fascia biologica» di «mele con il baco» avrebbe comportato, sì, un piccolo sacrificio, ma avrebbe garantito prestigio ecologico e altissima visibilità. Si è preferito invece scavalcare le leggi della natura, confidando troppo nelle moderne scienze, tecnologie e farmacologie (catture, trasporti, manipolazioni, radiocollari, microchips, trasmettitori, gps, trappole nascoste, armi spara-siringhe, dardi, sedazioni, anestesie, narcotici, tranquillanti, monitoraggi: e chi più ne ha, più ne metta). Con risultati che sono sotto agli occhi di tutti.
Passiamo agli Appennini. Le decine di Orsi marsicani tristemente caduti negli ultimi dodici anni nel Parco d’Abruzzo e dintorni, a causa di avvelenamenti, fucilate e persecuzioni di ogni genere, sono in realtà vittime di quell’impasto micidiale (politicanti, burocrati, tecnocrati, accademici, corse al potere e al profitto) che sta oggi rovinosamente precipitando l’Italia in una voragine, dalla quale sarà difficile risollevarsi. Orsi usati come Bancomat per appropriarsi di fondi europei, e condurre costosissime ricerche scientifiche invasive: che se hanno certamente giovato alla carriera dei beneficiari, non hanno portato consistenti vantaggi alla sorte del plantigrado.
Basterà una sola considerazione. Per attirarli erano stati goffamente imitati metodi che potevano essere forse validi nelle sterminate Montagne Rocciose nordamericane, usando esche olfattive a base di pesce e pollo. Che hanno però finito col modificare le abitudini degli orsi marsicani, esponendoli a rischi sempre maggiori. Condannandoli al «contatto ravvicinato» con l’uomo, e a finire uno dopo l’altro sulla cronaca nera della natura: oltre una sessantina di individui perduti dal 2002 a oggi, e la strage continua…
Fino a una dozzina d’anni fa gli orsi erano creature mitiche, quasi invisibili e sempre inavvicinabili: oggi invece attraversano i paesi, entrano nei pollai, si arrampicano sui balconi, creano scompiglio. Scambiati per comodi giocattoli e soprammobili, usati per la promozione turistica, mentre tutti seguono ansiosamente le sorti di Gemma, l’ultima mamma in pericolo.
Una raffica di errori madornali e una valanga di chiacchiere incompetenti hanno fatto il resto. Inutili sono stati gli appelli delle persone sensibili, preoccupate perché consapevoli che in questo modo si correva spensieratamente sulla via dell’estinzione.
I disinvolti operatori attuali, tanto nelle Alpi quanto negli Appennini, vantavano autorità indiscussa e sdegnavano aiuti, informazioni e consigli. Anzi, nella loro penosa tracotanza, avallata da miope politica e avida università, sostenuta da burocrazia insulsa e invadente tecnocrazia, nel tripudio di giornali e televisioni, hanno trovato più comodo eliminare le esperienze e competenze valide ancora disponibili, e cancellare la memoria storica: affrettandosi persino a far sparire libri e pubblicazioni che avrebbero consentito di comprendere la drammatica situazione, agire per tempo e risolvere molti problemi. Erano e sono ancora sostenuti dalla ridicola pretesa di saper addomesticare la natura selvaggia, non educando l’uomo, ma «robotizzando» l’orso. E quindi, come era facilmente prevedibile, hanno perso. O meglio, abbiamo perso tutti, dimostrando ancora una volta che l’uomo odierno, chiuso nel proprio miope egoismo, non è più capace di convivere con la vera natura.