Parola d’ordine: azione; è questo il senso che il Segretario Generale delle Nazioni Unite Ban Ki-moon ha voluto dare invitando i governi e i leader del mondo della finanza, delle imprese e della società civile a riunirsi a New York per affrontare in modo auspicabilmente incisivo il problema del cambiamento climatico
Sono più di 120 i capi di stato e di governo attesi al Climate Summit di oggi, evento convocato dal Segretario Generale delle Nazioni Unite Ban Ki-moon che ha invitato i governi e i leader del mondo della finanza, delle imprese e della società civile a riunirsi a New York per affrontare in modo auspicabilmente incisivo il problema del cambiamento climatico. «Chiedo a tutti coloro che verranno di portare nuove proposte e azioni – aveva annunciato all’ultima Conference of Parties (COP) di Varsavia (novembre 2013) -. Entro l’inizio del 2015, abbiamo bisogno degli impegni necessari a raggiungere un’azione sufficiente a mantenere l’aumento di temperatura al di sotto dei 2 gradi a fine secolo, livello internazionalmente accordato e oltre il quale le conseguenze dei cambiamenti climatici sarebbe difficilmente controllabili».
Il Climate Summit, ospitato presso la sede centrale delle Nazioni Unite di New York, segue di una settimana la seconda conferenza internazionale sulle Sustainable Development Practice (17-18 settembre, Columbia University) e ha mobilitato non solo New York ma tutto il mondo con iniziative dal basso a favore del clima.
Non si tratta di un evento negoziale, non è qui che si decideranno le sorti degli accordi sul clima: obiettivo dell’evento, che non a caso si intitola «Catalyzing Actions», è quello di generare la volontà politica di agire per raggiungere davvero un accordo mondiale alla Conferenza delle Parti dell’Unfccc di Parigi nel dicembre 2015, un accordo che consenta, attraverso gli impegni di tutti i principali paesi che emettono gas ad effetto serra, di ridurre significativamente le emissioni climalteranti e di prepararsi agli impatti inevitabili dei cambiamenti climatici.
Si sa, buone pratiche e comportamenti virtuosi sono contagiosi e stimolano l’ambizione. Soprattutto se si tratta di strategie vincenti non solo per l’ambiente ma anche per il benessere in senso ampio. E le azioni per il clima fanno parte di questa famiglia. Deve aver pensato a questo Ban Ki-moon quando, nell’invito ai leader del mondo, ha chiesto che portassero con sé, al Climate Summit di New York, annunci e azioni per la riduzione delle emissioni e l’adattamento al cambiamento climatico.
Non è un caso che sei banche multilaterali di sviluppo (African Development Bank, Asian Development Bank, European Bank for Reconstruction and Development, European Investment Bank, Inter-American Development Bank and World Bank Group) abbiano scelto proprio la settimana che precede il Summit per pubblicare un annuncio congiunto in cui si impegnano ad implementare azioni ambiziose per il controllo del clima, sia sul piano della mitigazione che dell’adattamento, in particolare in aiuto dei Paesi in via di sviluppo. Nel loro statement non manca l’appello a seguire il loro esempio: «We aim to lead by example and influence the trajectory of financial developments in support of global climate action […] we encourage others to join us in catalyzing the necessary increase in climate finance».
Al Climate Summit l’atteggiamento dei paesi partecipanti sarà positivo: non una corsa al ribasso negli impegni per il clima, come vediamo stroppo spesso accadere nei negoziati, ma una lente di ingrandimento, una vetrina di comportamenti virtuosi, che serve a premiare il loro successo e a stimolare il contesto, lasciando lo spazio di spiegare perché l’apparente sacrificio è in realtà una vera opportunità di sviluppo.
Solo se i tempi si dimostreranno maturi per questo cambio di prospettiva, il Summit sarà terreno fertile e non resterà solo una delle tante «fiere dei buoni propositi», e porrà le basi per raggiungere un «accordo post-Kyoto» a Parigi, passando per gli imminenti negoziati di Lima in Perù (dicembre 2014). Il ruolo propositivo dei singoli attori sta infatti acquisendo importanza anche nel processo negoziale, dove all’approccio top-down si sta sostituendo un approccio bottom-up, in cui saranno i singoli Paesi a proporre il proprio impegno di riduzione delle emissioni.
Le prime indiscrezioni sull’accordo che si va preparando a Parigi vano in questa direzione: Ai paesi sarà chiesto di identificare le misure che in ciascuno risulteranno più efficaci e meno costose per la riduzione delle emissioni di gas ad effetto serra. Se la somma degli sforzi non risulterà sufficiente, si chiederanno ulteriori sforzi ed impegni, Non più quindi un accordo su degli obiettivi di riduzione delle emissioni, ma la raccolta di impegni ad ogni livello ed una verifica continua della loro efficacia.