Ecco cos’è il metodo Monsanto

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Ovvero perché Ogm e sperimentazione animale sono due facce della stessa medaglia. Un recente studio del team francese capeggiato da Gilles-Eric Séralini dell’Université de Caen, ha accertato l’insorgenza di tumori nei ratti alimentati con mais Ogm della Monsanto (NK603). Un topo da laboratorio è come un seme geneticamente modificato, viene creato dall’uomo nel disprezzo più totale della Natura, con la presunzione che un camice bianco possa sovvertire le leggi universali come un deus ex machina che, invece di salvare se stesso dalla tragedia, diventa protagonista di una farsa

Trascurando le rivelazioni di quest’estate sulle ragioni, tutt’altro che scientifiche («è diventata ministro perché l’amante di…»), che hanno portato alla nomina di ministro la senatrice Beatrice Lorenzin e le numerose polemiche che imperversano sul doppio ruolo politico-scientifico della senatrice a vita-ricercatrice Elena Cattaneo, ciò che sorprende di più è l’assordante silenzio istituzionale della prima e l’accanita difesa sempre più incalzante della seconda nei confronti di Ogm e sperimentazione animale. Ormai è un appuntamento fisso lo scritto della Cattaneo, nei momenti di maggior dibattito sociale e politico, sui principali quotidiani nazionali per sostenere le ragioni etico-scientifiche di due problematiche apparentemente distinte che, in realtà, si rivelano essere due facce della stessa medaglia.
Un aspetto spesso trascurato quando si parla di organismi geneticamente modificati e dei pesticidi specifici per le varietà brevettate è la necessità di testare qualunque sostanza immessa sul mercato mediante trial in vivo condotti su animali quali ratto, topo, coniglio e su alcuni primati. Inoltre, alcuni pesticidi di nuova generazione, realizzati ad hoc per avere efficacia su specie geneticamente modificate, vengono prodotti in Paesi in cui è legale la sperimentazione sugli animali d’affezione come il cane e il gatto.
Questa, che può apparire una considerazione puramente etica o animalista, si rivela essere in realtà un campanello di allarme sulla tossicità dei pesticidi sugli organismi viventi. Uno dei test più adoperati dai tossicologi è l’LD50, cioè la prova della «dose letale per il 50% delle cavie». Ciò significa che si stabilisce quale sia la soglia di sicurezza nell’assunzione (orale, epidermica, mediante mucose, etc.) di un determinato composto chimico affinché almeno metà degli organismi che l’hanno assunto restino in vita.
Oltre che brutali e moralmente inconcepibili nei confronti degli animali non umani, questi test non rassicurano molto nemmeno noi poiché ciò che uccide un organismo che pesa la metà, ma spesso anche un decimo rispetto a un uomo, magari non ci ucciderà istantaneamente, ma di certo causerà malattie quali neoplasie, linfomi, etc. che nel medio-lungo termine tenderanno a manifestarsi.

Alcune domande

Un recente studio del team francese capeggiato da Gilles-Eric Séralini dell’Université de Caen, ha fatto molto discutere, poiché ha accertato l’insorgenza di tumori nei ratti alimentati con mais Ogm della Monsanto (NK603). Tre gruppi di ratti sono stati rispettivamente alimentati con l’Ogm in questione, abbeverati con basse dosi di pesticida diluite in acqua (pari a quelle comunemente presenti negli ortaggi non biologici in commercio) o allevati senza Ogm e pesticidi. Il risultato tanto discusso ha mostrato un aumento sino al 50% per i maschi e il 70-80% per le femmine di mortalità precoce e insorgenza di tumori del gruppo alimentato con mais ingegnerizzato. Gli animali che hanno bevuto erbicida hanno mostrato incidenze simili.
La ricerca ha acceso molte polemiche poiché secondo alcuni gli animali utilizzati derivavano da una linea genetica predisposta all’insorgenza dei tumori.
Ad ogni modo, in questo clima polemico, a tanti sono sfuggiti due aspetti fondamentali: ha senso testare un Ogm su animali già geneticamente selezionati (e modificati) per dimostrare una pericolosità che non può che essere specie specifica e, soprattutto, non trasferibile all’uomo? E, soprattutto, ha senso pensare di creare un organismo con un DNA mutato per resistere a dosi più massicce di pesticida e illudersi che questo processo sia innocuo per l’uomo e l’intero ecosistema?
Fa parte della presunzione umana creare mostri da cui difendersi tentando di rivalutare l’immagine negativa della propria creazione. Si sacrificano esseri viventi per testare esseri mutanti che necessitano di sostanze altamente pericolose per sopravvivere. Quale assurdità!
I detrattori, come la Cattaneo, sostengono che l’uomo da sempre ha selezionato e modificato le specie e che non c’è nulla di diverso negli Ogm, ma questo è solo in parte vero. La selezione è avvenuta, ma è stata lenta e graduale e soprattutto non ha previsto interventi diretti sul genotipo, ma solo sul fenotipo. In pratica, si è indirizzata l’evoluzione di quei caratteri esterni più interessanti all’uomo, agendo su aspetti che indirettamente e naturalmente andavano a mutare i caratteri genetici delle specie. Ora, invece, con gli Ogm si saltano intere generazioni riproduttive, si bypassano secoli di evoluzione e, soprattutto, si agisce sul genotipo per modificare il fenotipo. Tutto questo essendo nemmeno minimamente consapevoli di quali conseguenze le alterazioni del DNA abbiano sull’organismo modificato e sul resto degli esseri in relazione con esso. È accertato, ad esempio, che anche dove sono state create barriere per prevenire la diffusione di pollini da colture Ogm sono state rinvenute colture ibride (naturali, wild type incrociate con Ogm) a centinaia di chilometri di distanza.
È paradossale che l’uomo non sia in grado di prevenire e controllare le invasioni di specie aliene grandi quanto un’adorabile enorme roditore come la nutria (e poi pensi di liberarsene sterminandole a fucilate) e creda di poter limitare la diffusione di microscopici granuli pollinici con teli in plastica!
Forse, di questi tempi, bisognerebbe ricordare il vecchio adagio dei nonni: «Se piace al verme è buono anche per te» e ricominciare a pensare a un agricoltura più semplice e sana, all’abbandono totale di diserbanti, anticrittogamici e pesticidi (che stanno decimando gli Imenotteri, come api e bombi, fondamentali impollinatori globali) e, invece di continuare a sacrificare vite in test inutili e costosi, dedicare le risorse all’agricoltura biologica e biodinamica.
Gli stessi detrattori, come la Cattaneo, superficialmente chiedono: ma come sfamiamo 9 miliardi di persone nei prossimi anni? Semplice: se riducessimo o eliminassimo totalmente il consumo di proteine di origine animale, ciascuno di noi potrebbe essere in grado di alimentare altre 9 persone (a ogni passaggio della catena alimentare si perde oltre il 90% dell’energia accumulata nello stadio precedente, così per produrre 1 kg di proteine animali ne servono 9-10 di origine vegetale). In questo modo, conti alla mano, una popolazione di 9 miliardi sarebbe ben alimentata e certamente più sana. Inoltre, in questo modo ridurremmo il consumo e l’inquinamento del suolo, impediremmo la conversione delle foreste in campi agricoli e non vi sarebbe alcun bisogno di giocare come fanno i biotecnologici per modificare ciò che in millenni la natura ha sapientemente selezionato.
Preferisco di gran lunga rinunciare agli hamburger dal fast-food con carni e verdure Ogm, mangiare la mia zuppa di legumi con contorno d’insalata prodotti in maniera biodinamica e sapere che in questo modo non ho allevato e sgozzato brutalmente nessun essere senziente, non ho distribuito pesticidi per aria e acqua, non ho contribuito a deforestare, ho reso disponibile cibo per altre 9 persone, la mia salute sta molto meglio e… non devo chiedermi come e se dimostrare la pericolosità degli Ogm, perché il mondo non ne ha bisogno. Semplicemente. Anche questa è scienza: la capacità di capire cosa in Natura ha senso e cosa no.

Il principio di precauzione

La diffusione di Ogm nel mondo è solo all’inizio. Da meno di 20 anni organismi geneticamente modificati vengono rilasciati sotto forma di colture nell’ambiente. Nessuno quindi sa bene con certezza quali possano essere gli effetti a breve o medio-lungo termine degli Ogm sulle colture tradizionali stesse o sugli animali. L’unico studio condotto in merito è quello già citato precedentemente, ma riguarda animali da laboratorio e quindi va considerato con precauzione. La difesa di ambientalisti famosi, convertiti o meglio corrotti alla causa Ogm (e nucleare, per non farsi mancare nulla) come Patrik Moore, ex di Greenpeace, è quanto di più assurdo si possa immaginare. Se è vero, infatti, che non ci sono certezze estreme sugli effetti degli Ogm sulla salute, sugli animali e sull’ambiente e dai pochi studi condotti gli effetti non sembrano comunque positivi, non si comprende perché si dovrebbe rassicurare la popolazione su rischi che non si conoscono; perché si dovrebbero autorizzare colture Ogm commerciali e non-sperimentali (gli Usa sono pieni) quando ancora non si sa nulla degli effetti transgenici.
Esiste il principio di precauzione in tutta l’Ue, ma questo, quando fa comodo alle multinazionali, viene ignorato. La non applicazione di questo principio nel caso dell’amianto (ritenuto sino a qualche decennio fa un materiale costruttivo eccezionale, resistente e privo di pericoli, senza che vi fosse alcuno studio a documentarlo) ha provocato migliaia di morti per asbestosi, mesotelioma, carcinoma polmonare, etc. Vogliamo che la storia si ripeta con gli Ogm? Non sono contrario alla ricerca sugli Ogm, purché questa non implichi la sofferenza deliberata per qualunque essere vivente, ma la diffusione e la messa in commercio sono atti criminali.
I livelli di intolleranze alimentari sono alle stelle, le allergie coinvolgono l’80% della popolazione e noi ci azzardiamo a diffondere altri organismi di cui non conosciamo gli effetti sull’ambiente e la salute? Sembra che la continua forzatura alla ricerca di spighe più grandi (mediante una tecnica di riproduzione genetica chiamata ibridazione tra due graminacee e un’erbacea, che ha portato alla «poliploidia») abbia reso il nostro grano (Triticum spp.) tetra-esaploide una possibile causa dell’espansione della celiachia.

Le intolleranze

Infatti, il grano anticamente coltivato noto come «monococco» non ha effetti di reazioni immunitarie avverse da parte dell’intestino e non lesiona la mucosa (Pizzuti D. et al., Lack of intestinal mucosal toxicity of Triticum monococcum in celiac disease patients 2006, Scandinavian Journal of Gastroenterology, Vol. 41, No. 11). E le allergie così diffuse sembrano derivare dall’espansione delle monocolture e dall’eliminazione delle specie vegetali endemiche (Moneret-Vautrin D. A. et al., Prevalence of sensitisation to oilseed rape and maize pollens in France: a multi-center study carried out by the Allergo-Vigilance Network. Eur Ann Allergy Clin Immunol. 2012 Dec;44(6):225-35).
I dubbi sono tanti, ma tutto questo invece di farci dire: «fermiamoci un attimo, dove stiamo andando? Stiamo creando un ambiente intorno a noi che ci respinge. Che ci è diventato allergico», ci si illude di poter continuare ad alterare la Natura indisturbati e con ancor più vigore. Se una graminacea riprodottasi forzatamente con 3-6 volte il suo genoma originario può provocare un’intolleranza grave che distrugge l’intestino, come facciamo a esser così sicuri del mais, della colza, della soia o del riso Ogm? Eppure la senatrice Cattaneo, dall’alto della sua scienza esatta, del suo metodo scientifico mai validato di sperimentazione sugli animali non umani, ci rassicura che gli Ogm sono sicuri.
«Da vent’anni s’invoca il principio di precauzione contro gli Ogm – dichiara a “Repubblica” la Cattaneo – da vent’anni li stiamo già sperimentando, nutrendoci indirettamente e vestendoci con cotone Ogm. E non capisco perché il principio di precauzione non dovrebbe valere per gli insetticidi, che da decenni due volte l’anno si spargono su centinaia di migliaia di ettari di mais con danni già visibili sia sulla perdita di biodiversità (farfalle, coccinelle, larve) sia per le intossicazioni umane riconosciute anche dall’Accademia Pontificia delle Scienze». Forse la scienziata, persa tra i banchi del Senato e le accademie pontificie, non sa che vi è da tempo un grande dibattito sui danni provocati dai pesticidi e, soprattutto, non vuole ammettere che le colture Ogm, ben lungi dal non necessitare di fitofarmaci, ne richiedono anzi dosi massicce con l’unica differenza che la commercializzazione è sotto il monopolio della stessa multinazionale che produce le sementi Ogm.
È «il Metodo Monsanto», che anticipai nel mio intervento alla Camera dei Deputati durante il convegno «La ricerca scientifica senza animali per il nostro diritto alla salute». È un metodo che piace tanto ai sostenitori della sperimentazione animale quanto a quelli che ci rassicurano sugli Ogm. Si comprende facilmente perché la Cattaneo si sia fatta paladina di entrambi.
Con gli Ogm il potere è nelle mani delle multinazionali che producono sementi geneticamente modificati e pesticidi specifici, vendendoli a prezzi spropositati agli agricoltori che ne diventano dipendenti poiché sono costretti ogni anno a riacquistare dagli stessi colossi, come Monsanto e Cargill, semi e fitofarmaci. La libertà democratica di coltivazione, la coltura frutto di secoli di cultura, viene così dispersa a favore di un sistema oligarchico e accentratore che impedisce l’autosostentamento, il perpetuo rigenerarsi della Natura, e costringe il mondo a elemosinare i semi, quanto di più prezioso esista per l’umanità, a un manipolo di corruttori senza scrupoli. Gli stessi che assoldano disponibili scienziati per divulgare il verbo dell’innocuità dei mostri da loro creati.
Così «il Metodo Monsanto» funziona anche per la sperimentazione sugli animali-non-umani. Poche enormi ditte producono, selezionano e rivendono le specie per i laboratori e i kit per i test. Gli enti di ricerca ne diventano dipendenti, poiché non potrebbero permettersi di mantenere da soli stabulari, allevamenti, etc., non cercano vie alternative e sostitutive, si riforniscono ogni anno dalle stesse multinazionali e convincono i ricercatori che vi lavorano che il metodo funziona. Che solo così è possibile fare sperimentazione. Solo così è possibile pubblicare e fare carriera. Che solo questo è il «metodo scientifico». Ma la scienza è tale perché prevede riproducibilità, dimostrabilità e innovatività. Se qualcosa palesemente non funziona, non si può dire: fa niente, è il meglio che abbiamo. No, la scienza deve impegnarsi a cercare altro, soprattutto se l’etica ci obbliga alla ricerca di strade alternative.
Quelli che, come la Cattaneo, confondono il «metodo scientifico» con il «metodo Monsanto», non solo fanno cattiva scienza e non permettono il progresso per l’umanità, ma dimostrano quanto gli affari contino più della passione scientifica, della ricerca di verità e dei precetti morali.
Un topo da laboratorio è come un seme geneticamente modificato, viene creato dall’uomo nel disprezzo più totale della Natura, con la presunzione che un camice bianco possa sovvertire le leggi universali come un deus ex machina che, invece di salvare se stesso dalla tragedia, diventa protagonista di una farsa.

 

Roberto Cazzolla Gatti, Ph.D., Biologo ambientale ed evolutivo