Affrontare il problema della differenza di prezzo fra diverse tipologie (e qualità) alimentari significa anche porsi il problema dei conti pubblici del futuro oltre che della qualità di vita immediata dei sempre più numerosi consumatori a basso reddito. Sarebbe il caso che quando si parla di Europa si tenesse qualche volta conto dei parametri che condizionano la vita delle persone in misura ancora più drammatica di quanto non facciano molti altri criteri: salute degli individui e salute delle banche non sempre vanno automaticamente d’accordo
Uno dei prezzi della crisi economica che stiamo vivendo è quello rappresentato dal prezzo sempre più alto dei cibi «sani» in contrapposizione al costo più abbordabile del cibo cosiddetto trash che parrebbe diventare in misura sempre maggiore l’unico possibile obiettivo di coloro che hanno un’entrata mensile più bassa e meno garantita.
Una recente analisi dei consumi effettuata in Gran Bretagna e pubblicata su «PLos One» ha evidenziato in modo netto ed indiscutibile come il cibo nutrizionalmente più raccomandato abbia subito, dal 2002 al 2012, un aumento di prezzo che lo ha reso ancor meno alla portata di coloro i quali hanno un reddito più basso e che quindi si trovano a dover scegliere, per la propria alimentazione, prodotti di qualità e costo inferiori.
Identificati infatti due possibili «panieri», l’uno costituito da cibi di migliore qualità e minor impatto negativo sulla salute e l’altro contenente cibo più scadente e maggiormente a rischio, la ricerca britannica ha evidenziato come nel 2002 una quantità di riferimento di 1.000 calorie prodotte dal cibo migliore costasse all’incirca 5,65 sterline contro le 1,77 di quello del cibo più scadente e che nel 2012, a fronte di un costo di 2,50 sterline del cibo di qualità inferiore, si dovessero pagare ben 7,49 sterline per consumare alimenti più raccomandabili. Un aumento distribuito su tutte le categorie di prodotti, quindi, ma ancor più evidente per quei cibi che fanno parte di una ideale tabella di buona alimentazione, sempre meno alla portata di chi guadagna meno.
Fra gli alimenti più sani sono stati inclusi latte, yogurt, pesce, vegetali, carne di manzo magra ed hamburger di soia, fra quelli meno affidabili pancetta, hamburger di manzo, bevande zuccherate, ciambelle e gelati. I prezzi ed i dati considerati sono stati estrapolati da quelli indicati dall’ufficio statistico britannico mentre i riferimenti in ordine alla salubrità del cibo sono stati desunti dalle tabelle nutrizionali della UK Food Standards Agency (corresponsabile, per inciso, dell’introduzione in Gran Bretagna del sistema di etichettatura «a semaforo» degli alimenti che prevede bollini di colore verde, giallo e rosso a seconda della raccomandabilità e della qualità degli alimenti disponibili alla vendita negli esercizi commerciali).
Il dato, aggregato ed analizzato in maniera da eliminare interferenze statistiche tali da renderlo eventualmente disomogeneo rispetto alla realtà dei consumi quotidiani della popolazione, ha evidenziato che l’aumento di 1,84 sterline, a carico dei cibi più consigliabili, è stato di circa il doppio rispetto a quello che ha interessato i cibi più scadenti. Con la conseguente e poco consolante considerazione aggiuntiva che lo sforzo contro il disagio e la povertà sociale, al centro dell’interesse pubblico nel Regno Unito grazie anche all’aumento delle banche alimentari, oltre ad assicurarsi che la gente non soffra la fame deve considerare contemporaneamente il fatto che una dieta sana è un punto centrale del problema, così come ha affermato il primo firmatario dell’articolo sullo stato dell’alimentazione in Gran Bretagna, Nicholas Jones, dell’Università di Cambridge.
La tendenza a rendere sempre meno alla portata di portafogli cibi più sani non può che creare, tendenzialmente, una condizione di maggior rischio per i meno abbienti ed alla lunga di maggiore spesa per il sistema sanitario, con il deterioramento progressivo della salute di chi non si può nemmeno permettere la scelta ma deve accontentarsi stabilmente di consumare alimenti spazzatura. Un po’ come affermare che si sta strutturando la tendenza a ribadire che una sana alimentazione è (e deve rimanere) un fatto elitario e precluso alla gran parte dei cittadini.
Affrontare, così, il problema della differenza di prezzo fra diverse tipologie (e qualità) alimentari significa quindi anche porsi il problema dei conti pubblici del futuro oltre che della qualità di vita immediata dei sempre più numerosi consumatori a basso reddito. Un problema che l’analisi condotta in Gran Bretagna contestualizza in un primo momento in quel Paese ma che, con tutta evidenza, interessa allo stesso modo (se non in termini ancora peggiori) tutto il vecchio continente alle prese con una crisi che non può essere sempre o solo ricondotta nei semplicistici binari dello spread e degli equilibri di bilancio.
Sarebbe il caso che, quando si parla di Europa, si tenesse qualche volta conto anche di questi parametri che condizionano la vita delle persone in misura ancora più drammatica di quanto non facciano molti altri criteri: è palese, cioè, che salute degli individui e salute delle banche non sempre vanno automaticamente d’accordo.