La discarica Italia in via di esaurimento

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Il sistema basato sulle discariche è in via di esaurimento: restano solo due anni di vita. Ma cosa fare della montagna di 29,5 milioni di tonnellate di rifiuti urbani prodotti nel nostro Paese? Per Was, Waste Strategy la ricetta è già indicata dall’Europa e prevede da un lato l’aumento delle percentuali di raccolta differenziata e il recupero dei materiali e dall’altro la termovalorizzazione dei rifiuti indifferenziati

In Italia ci sono troppe discariche. E la loro aspettativa di vita è breve. Anzi brevissima: con i ritmi attuali di smaltimento, le discariche italiane si esauriranno entro i prossimi due anni. A lanciare l’allarme, ragionare su possibili soluzioni e disegnare le nuove sfide normative e imprenditoriali del settore è il primo Was Annual Report, dedicato a «L’industria italiana del waste management e del riciclo tra strategie aziendali e politiche di sistema» presentato oggi a Roma all’Auditorium di Via Veneto.

Il mix di gestione italiano rimane ancora troppo sbilanciato sulle discariche, avverte il rapporto, che in alcune aree del nostro Paese sono la destinazione finale di oltre il 90% dei rifiuti urbani prodotti (la media nazionale si attesta sul 37%). In questo quadro generale, le situazioni più critiche si registrano in Sicilia, Calabria, Lazio, Puglia e Liguria.

Le regioni italiane hanno diversi livelli di dipendenza dalle discariche in funzione del livello di raccolta differenziata e di termovalorizzazione. Le regioni meno dotate di impianti sono anche quelle con i livelli di raccolta differenziata più bassi. Analizzando i Piani Regionali emerge la tendenza a continuare a puntare sulle discariche o, addirittura, a non prevedere soluzioni per lo smaltimento. Anche qualora previsti, sottolinea il rapporto del think thank italiano sull’industria del waste management, i termovalorizzatori raramente giungono a costruzione: della capacità totale prevista dagli ultimi Piani Regionali disponibili (~2,5 mln ton per 16 regioni al 2013) ne è stata realizzata meno del 20%.

Eppure le non-scelte costano all’Italia. «La gestione dei rifiuti comporta una serie di importanti ricadute per il sistema Paese – avverte Alessandro Marangoni, AD di Althesys presentando il Rapporto -. Lo studio ha stimato gli effetti ambientali, economici e sociali di diversi scenari futuri. Il raggiungimento degli obiettivi previsti al 2030 dalle revisioni delle direttive UE (70% di riciclo totale) comporterebbe benefici potenziali netti per l’Italia fino a 15 miliardi di euro circa».

Ma cosa fare della montagna di 29,5 milioni di tonnellate di rifiuti urbani prodotti nel nostro Paese? Per Was, Waste Strategy (il think thank sul waste management che ha elaborato il rapporto) la ricetta è già indicata dall’Europa e prevede da un lato l’aumento delle percentuali di raccolta differenziata e il recupero dei materiali e dall’altro la termovalorizzazione dei rifiuti indifferenziati. Un quadro generale che andrebbe a ricalcare gli scenari dei Paesi più virtuosi. Allargando lo sguardo al panorama internazionale, emerge come la situazione italiana nella gestione dei rifiuti sia distante da quella dei paesi del Nord Europa che nel corso degli anni sono riusciti a ridurre drasticamente, se non ad azzerare, la discarica. La principale differenza è nel maggiore ricorso all’incenerimento (con o senza recupero di energia). In questi Paesi la termovalorizzazione non ha rappresentato un’alternativa al riciclo, che infatti ha valori più alti che nel resto d’Europa, ma uno strumento complementare per raggiungere l’obiettivo discarica-zero, dice il think tank Was. Inoltre, puntare sulla termovalorizzazione è stato reso economicamente vantaggioso dalla possibilità di sfruttare il calore recuperato nelle reti di teleriscaldamento: particolare non trascurabile visto il clima del Nord Europa.

Ragionare in prospettiva è ancor più necessario in un quadro di leggi, regolamenti e norme comunitarie che sarà rivoluzionato nei prossimi anni. Sono infatti in corso di revisione le principali direttive europee che disciplinano l’intero settore, la Direttiva Quadro sui Rifiuti (2008/98/CE), la Direttiva Imballaggi (1994/62/CE) e la Direttiva Discariche (1999/31/CE). Come si traduce nella vita di tutti i giorni? Intanto bisognerà arrivare, ad esempio, alla quota di riciclaggio dei rifiuti pari al 50% nel 2020 e 70% nel 2030, una bella sfida. Novità sono previste in tema di prevenzione, con l’introduzione di un obiettivo di riduzione dei rifiuti alimentari del 30% entro il 2025. E ci saranno cambiamenti anche per i produttori che dovranno rendere i loro imballaggi sempre più riciclabili.

Per venire incontro alle richieste dell’Europa e per far fronte al deficit di infrastrutture per la gestione dei rifiuti, il decreto Sblocca-Italia parrebbe andare nella giusta direzione prevedendo la realizzazione di una rete nazionale degli impianti di recupero e smaltimento, secondo quanto si legge nel Rapporto. La norma semplifica le procedure per l’individuazione dei siti e la realizzazione dei nuovi impianti, permettendo alle strutture esistenti di trattare anche rifiuti extra bacino fino alla saturazione della capacità autorizzata. La revisione delle principali direttive Ue che regolano il settore ci pone davanti sfide importanti: coglierle richiederà l’industrializzazione e il consolidamento del settore, che ad oggi continua ad essere molto frammentato e l’avvio di una vera e propria strategia nazionale per i rifiuti, chiara e di lungo periodo, che sappia valorizzare le competenze e le risorse industriali italiane.

Chi sono gli operatori del waste management e del riciclo chiamati a misurarsi con le sfide dei prossimi anni? Was (Waste Strategy) ha disegnato il loro identikit. L’analisi dei 70 maggiori player evidenzia come le performance migliori siano delle imprese di grandi dimensioni e più integrate (Grandi Multiutility), le uniche a riuscire a presidiare l’intera filiera. Nel 2013 questi operatori hanno realizzato circa il 50% degli investimenti e conseguito un rapporto medio Ebitda/Ricavi più che doppio (32,2%) rispetto a quello degli altri. Nell’ultimo triennio i 70 top player hanno investito 1 miliardo di euro complessivi. Sono stati fatti soprattutto interventi di manutenzione straordinaria e ammodernamento degli impianti e in prevalenza nel Nord-Est del Paese.
Le numerose aziende operanti nel settore (4.761 quelle autorizzate alla raccolta e al trasporto dei rifiuti urbani, secondo l’Albo nazionale dei Gestori ambientali) sono in maggior parte di piccole dimensioni. Il mercato, tuttavia, risulta piuttosto concentrato, seppur meno che nel resto d’Europa. I 70 maggiori operatori, pubblici e privati, coprono infatti il 58% dei ricavi e il 54% dei rifiuti urbani raccolti, servendo oltre la metà della popolazione. Le aziende che hanno adottato il modello Multiutility sono più redditizie: le piccole e medie Multiutility, pur avendo ricavi medi più bassi, hanno un rapporto Ebitda/ricavi migliore delle Monoutility, mentre le Grandi Multiutility hanno una redditività nettamente superiore a tutte le altre. In generale, invece, gli Operatori Metropolitani hanno risultati intermedi, grazie all’aumento dell’Ebitda, passato nel 2013 al 15,71% rispetto al 11,05% del 2012. Per gli operatori privati, invece, il rapporto tra Ebitda e ricavi è del 6,9%, in crescita nel 2013 rispetto all’anno precedente. I migliori risultati dei grandi gruppi sono dovuti anche alla loro più ampia presenza lungo la filiera, nelle attività a maggior valore aggiunto, rispetto alle aziende minori attive nella sola fase di raccolta.

L’andamento degli investimenti in un settore peculiare come quello del waste management risente, tuttavia, di una molteplicità di fattori: le incertezze circa i sistemi di finanziamento dei servizi ambientali da parte degli enti locali; i ritardi e le incoerenze della pianificazione regionale; la mancanza di chiarezza nella normativa nazionale; le opposizioni locali alla costruzione degli impianti di trattamento e smaltimento. In tale quadro, segnato anche da non facili situazioni emergenziali, il settore ha compiuto tuttavia sforzi non modesti di efficientamento e di investimento. Le imprese, anche a fronte di una diminuzione costante della produzione di rifiuti urbani, stanno rivalutando i propri assetti impiantistici e i futuri piani di investimento. Il trend dei nuovi impianti realizzati nell’ultimo triennio evidenzia un interesse crescente verso le fasi di selezione e trattamento. Per quanto riguarda invece le tendenze strategiche e i modelli prevalenti del settore, i dati indicano che è in atto un processo di consolidamento: i grandi gruppi tendono a incorporare piccole realtà specializzate, mentre le aziende di dimensioni inferiori ricorrono a collaborazioni con altri operatori, a costituire reti d’impresa o a riunirsi in realtà sovracomunali o provinciali.