Trasparenze e deformazioni, qualche caso di attualità

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Il vetro può presentarsi del tutto opaco alla luce o solo in parte o solo per alcuni colori. Nella pratica delle cose il vetro può mostrare segni e significati diversi pur non cambiando il suo aspetto formale e la sua struttura chimico-fisica. Uno stesso vetro può essere diversamente trasparente ai fenomeni luminosi e, quindi, può presentarsi infedele, nel mostrare gli oggetti esposti, a secondo delle prospettive e dell’illuminazione che li rende più o meno visibili e definiti. In alcuni casi le immagini degli oggetti e dei fenomeni, trasmessi attraverso il vetro, possono attivare false valutazioni, ma se le analisi non si limitano solo ai loro aspetti formali ed entrano anche nel merito delle dinamiche e della qualità delle loro funzioni, la visione può cambiare profondamente e le forme possono diventare solo espressione di elementi secondari.

In politica, nelle relazioni sociali, economiche, culturali possono essere generate (attraverso i fenomeni delle trasparenze) deformazioni e opacità di diverso grado ed effetto, per esempio, a opera di chi intende vantare apparenti ragioni o denunciare presunti abusi o smorzare evidenti illegalità. Sono alterazioni che fanno parte di strategie che usano anche altri strumenti (per esempio, quelli del mondo dell’informazione) per fare leva su compiacenze, in qualsiasi modo procurate, per costringere a scambi di favori, a convenienze autocensorie a insopportabili ma efficaci ricatti).

Trasparenze armate

In Israele e in Palestina si votano i governi secondo criteri diversi ma sostanzialmente democratici. Lo Stato israeliano è, perciò, democratico. Non appare, però, altrettanto evidente che anche in Palestina c’è democrazia: questo, forse, è solo perché la definizione di Stato non le viene formalmente riconosciuta. In Palestina, uno Stato esiste ma non traspare nelle prospettive a noi formalmente visibili.

Senza un possibile riferimento a uno Stato, la Palestina non può definire una costituzione: nella pratica della gestione politica dei suoi territori e delle sue comunità, fa riferimento (anche con scelte fondamentaliste di alcuni gruppi) a principi tratti dal Corano. Lo Stato israeliano, che si propone come Stato laico, pur potendo definire una propria costituzione (a garanzia sia dei diritti e doveri di suoi cittadini e delle loro comunità, sia dei riferimenti per le proprie relazioni internazionali) ha solo leggi che regolano i meccanismi, di tipo democratico, per la nomina dei delegati e per la formazione dei Governi. Di fatto tutto è demandato alle scelte di un parlamento, solo democraticamente eletto, che sostanzialmente fa, poi, riferimento (anche con posizioni fondamentaliste) a principi tratti dalle loro Sacre Scritture.
Due paesi dunque che, pur in modo diverso, presentano anche riferimenti a posizioni fondamentaliste di origine religiosa, con tutte le immaginabili conseguenze. La Palestina, come espressione di una comunità mussulmana, trova le verità nelle parole del profeta Maometto comprese quelle sulla guerra contro gli infedeli, fino alla loro morte. Israele, come Stato ebraico, trova, invece, i propri riferimenti, nelle parole di Mosè che propongono l’immagine di un popolo eletto, destinato a vincere le sue guerre per il ritorno e la difesa della sua Terra Promessa, quella dei Palestinesi compresa.
In questo stato delle cose è evidente quanto sia concretamente impossibile una conciliazione fra le loro diverse posizioni, irrimediabilmente contrapposte, senza correre il rischio di rendere più incombente un loro inestinguibile scontro mortale. Attualmente, la prospettiva di un termine, a questo stato continuo di conflitto, non sembra essere la pace fra i due popoli, ma, sostanzialmente, una drammatica e disumana soluzione finale di distruzione totale dell’avversario che il più forte dei due sarà capace di imporre. Sono molti i segnali che minacciano continuamente una simile soluzione, dalle pressioni militari e terroristiche che mettono in crisi la sopravvivenza umana in particolari territori, alle tregue tradite, all’offerta di condizioni di pace inaccettabili, al cinismo sostanziale con il quale le due parti rispondono alle iniziative di pace internazionali (iniziative sospettate, da entrambi i governi, di dare sostegno alle strategie dell’avversario). Fra occupazione di territori, provocazioni, prepotenze, attacchi mortali anche contro la popolazione civile da una parte e atti terroristici dall’altra, neanche le risoluzioni Onu sono riuscite a fermare le più spietate azioni con le quali i due popoli (che credono nello stesso Dio) sembrano determinati a una reciproca distruzione.

Trasparenze ideologiche nel mercato dei liberi consumi

Al di là delle trasparenze fisiche del vetro, vi sono le parole che ne arricchiscono l’interpretazione. L’espressione «lingua biforcuta» mette in evidenza la capacità delle parole di deformare e di far fraintendere le cose e i fatti, pur se dovessero avvenire in case di vetro. Si può, infatti, fare riferimento anche a una stessa cosa usando due o più «linguaggi». Uno, per esempio, per far intendere vantaggiose prospettive (di un illuminato intervento strutturale o di un necessario adeguamento delle Costituzioni nazionali) e uno che vuol convincere tutti sulla necessità di imporre, contemporaneamente, anche vincoli in difesa di diritti ritenuti non negoziabili, ma vantaggiosi per alcuni e dannosi, invece, per gli altri. È, questa, una storia che riguarda in modo specifico quei trattati commerciali internazionali, già prima richiamati, per la loro poca trasparenza (sono trattati segreti), che di fatto fanno intendere vantaggi, ma che poi puntano a un’occupazione imperiale dei mercati mondiali in un quadro generale di colonizzazione anche delle culture e delle coscienze umane. Un trattato che, in mancanza di informazioni e di occasioni di partecipazione dei cittadini, sembra destinato a proporre un cambiamento forse necessario, ma in modi inaccettabile: per esempio, lasciando campo libero a provocazioni e prepotenze (fino all’imposizione di regole antidemocratiche) che sembrano richiamare quelle della serie «libera volpe in libero pollaio». Proposte che non lasciano certo spazi per trovare un senso umano nelle prassi arbitrarie (messe in atto dalle strutture imposte dai dettati ideologici del libero mercato globale) e nelle trasparenze vantate come esaustive in quanto conformi a verità ideologiche e assolute messe in mostra. Visioni ideologiche che considerano falsa ogni altra visione della realtà, diversa dalla propria, che perciò è da colpire con esemplari ed estreme condanne.

Trasparenze infrastrutturali

Molte opere, piccole o grandi che siano, in nome della trasparenza mettono a disposizione ogni dettaglio dei relativi progetti (le qualità delle soluzioni ingegneristiche, dei processi esecutivi, delle materie prime), incanalando, così, qualsiasi valutazione, solo nel merito degli aspetti tecnici, non di facile comprensione e critica, a volte anche manomesse a favore di valutazioni finali preordinate. Sono, quindi, trasparenze, se non anche fraudolente, sicuramente del tutto non esaustive nell’affrontare i problemi socio-culturali del vissuto delle collettività (coinvolte dagli impatti delle opere) e nel far emergere i meccanismi economici (costi ingiustificati delle catene di appalto, costi non solo per opere da realizzare, ma anche per caritatevoli riconoscimenti e vincolanti incentivazioni).

Dunque, tutta una mancanza di trasparenza, di rapporti ingiusti e ingiustificabili, che non si limitano solo a frenare il progresso umano ma che caricano, sulle popolazioni, anche i costi economici, politici, sociali, culturali, morali, delle strategie di un potere ormai globale che ritiene di poter disporre del mondo, dei suoi grandi numeri, per volgerli a favore dei propri interessi, dei propri profitti. Nell’irresistibile desiderio, del re Mida, di poter trasformare, ogni cosa toccata, in oro, e nell’avidità di Paperone (personaggio Disneyano che abita e accumula denaro senza senso, in un immenso forziere), troviamo una buona rappresentazione del lucido ma terminale delirio imposto al mondo intero, con la globalizzazione.
Una situazione che sembra governata da stupidi contabili impegnati nell’aritmetica dei profitti fine a se stessi e senza senso, con il solo obiettivo di raccogliere sempre più denaro, sottraendolo a chi, invece, lo produce e lo vorrebbe anche investire per dare sostegno, alla realtà vitale che lo accoglie, che valorizza il suo lavoro, e forse anche per contribuire a un progresso umano condiviso con chi animando un territorio anima anche la fortuna delle proprie attività. Da soli, senza condivisioni sinergiche, si possono attivare, purtroppo, solo infernali meccanismi che portano all’inaridimento delle relazioni socio culturali e a una dispersione e distruzione delle risorse, tutte cose che non permettono di vincere la vita. Questa, infatti, non è un fenomeno che ammette una e una sola soluzione (come nelle dimostrazioni di teoremi matematici) di vittoria finale della bontà di un perentorio progetto deterministico di origine ideologica. La vita è, invece, un bene partecipato che si apre alle infinite soluzioni di un equilibrio naturale, che mette in gioco tutte le unicità delle prerogative di ogni singolo individuo e delle sinergie espresse dalle sue comunità. In questi contesti i vergognosi trucchi nascosti e gli espedienti tecnologicamente avanzati (con i quali vengono depredate le ricchezze di chi contribuisce, invece, con il proprio lavoro, a risposte di solidarietà condivise) non hanno proprio nulla di cui vantarsi.
Intanto (impediti dalle prepotenze del potere globale, esercitate da un gruppo di sfaccendati che minano le Istituzioni democratiche o che favoriscono un sistema feudale di sottomissioni o che, ancora, condizionano fino a far soccombere, stremati dalla fatica di andare contro corrente, chi volesse attivare relazioni creative e operative) noi rischiamo, purtroppo, di rimanere in un’irresponsabile attesa di improbabili eventi a nostro favore, mentre altri confezionano un nostro triste destino.
Fin quando ci toccherà aspettare perché questi prepotenti prendano atto di questo stato delle cose e, soprattutto, perché si rendano conto (se intendono ricorrere allo storico ed estremo strumento della guerra) che, oggi, risollevare l’economia con i morti, di un occasionale nemico, non è più la diabolica soluzione distruttiva che attiva una vantaggiosa ricostruzione e un efficace rinnovamento del potere economico? Nessuna catarsi sarà possibile per i costi umani esponenziali di una guerra che si propone, oggi, di fare strage (come se fossero combattenti disarmati mandati in prima linea) della popolazione civile (sulla quale, ormai, si misurano cinicamente i morti e le sorti delle guerre) e di continuare fino all’atto distruttivo finale (di quella parte che, con «innocenti» sistemi di difesa, avrà ucciso l’ultimo cittadino dell’altra parte), che permetterà di vantare l’incontestabile vittoria conclusiva di una parte, non essendo più, l’altra parte, nella condizione di avere qualcosa da difendere.