Un team dell’Ifac-Cnr e dell’Università di Firenze mette a punto un nuovo tipo di trattamento del cancro: nanoparticelle d’oro riconoscono le cellule cancerose quando queste sviluppano un enzima che permette loro di sopravvivere senza ossigeno
Utilizzare la temibile capacità delle cellule tumorali di sopravvivere anche in condizioni di scarsa ossigenazione per renderle riconoscibili da parte di nanoparticelle d’oro in grado di individuarle e distruggerle. È quanto realizzato da un gruppo di ricercatori dell’Istituto di fisica applicata del Consiglio nazionale delle ricerche (Ifac-Cnr) e dell’Università di Firenze. La nuova tecnologia, illustrata su Advanced Functional Materials, è protetta da brevetto.
«Le cellule tumorali si distinguono da quelle sane per la loro “sete” di ossigeno. Con il nostro lavoro abbiamo scoperto che proprio le caratteristiche sviluppate per far fronte all’ipossia possono essere utilizzate per la loro individuazione – spiega Fulvio Ratto, autore dello studio e ricercatore dell’Ifac-Cnr -. In particolare, abbiamo constatato che le cellule cancerose ipossiche reagiscono alla carenza di ossigeno esprimendo sulla membrana un enzima chiamato anidrasi carbonica 9 (Ca9). Noi abbiamo reso riconoscibile questa sorta di impronta da parte di nanoparticelle d’oro fornite di un inibitore di Ca9, per esempio un sulfamidico: le nanoparticelle in tal modo identificano e attaccano le cellule tumorali ipossiche, che sono le più difficili da raggiungere con le terapie convenzionali».
Una volta legate in maniera selettiva a queste cellule, le nanoparticelle possono essere attivate con un laser per scopi sia diagnostici sia terapeutici. «A seconda del regime di esposizione luminosa, le nanoparticelle generano ultrasuoni oppure calore, che potrebbero essere rispettivamente impiegati per l’imaging diagnostico oppure per la rimozione ipertermica delle cellule maligne – prosegue Ratto -. In pratica, le nanoparticelle d’oro possono evidenziare la presenza delle masse tumorali oppure distruggere con il calore le cellule che le compongono».
Gli esperimenti condotti finora sono stati effettuati su cellule coltivate in laboratorio e dimostrano che, non appena subentrano le condizioni di ipossia, le cellule cancerose possono essere efficacemente riconosciute e distrutte. «La strada per applicare questa tecnologia all’uomo è però ancora lunga: sarà infatti necessaria una complessa fase di test preclinici in modelli animali, prima di accedere alla sperimentazione clinica. Tuttavia, abbiamo ragione di ritenere che la sinergia tra nanotecnologie, biofotonica e biologia cellulare (la disciplina alla base di questa ricerca) potrà fornire uno strumento efficiente e versatile per la diagnosi e la cura di molti tumori», conclude il ricercatore dell’Ifac-Cnr.