L’analisi traccia il quadro attuale della gestione dei rifiuti urbani nell’Unione europea, cercando poi di individuare le azioni e gli strumenti per cogliere gli obiettivi europei, facendo convergere i risultati dei vari Paesi; inoltre il lavoro valuta i possibili impatti di queste politiche in termini di crescita economica ed occupazionale
È stato recentemente pubblicato uno studio diretto ad analizzare le relazioni tra le politiche di gestione dei rifiuti, nello specifico tutte quelle pratiche afferenti il riciclo del rifiuto, e lo sviluppo economico e occupazionale nell’Unione europea.
Il raggiungimento degli obiettivi europei rivolti alla creazione della «società del riciclo» può, infatti, avere rilevanti effetti sulla crescita economica ed industriale ed essere un fattore di creazione di occupazione.
L’analisi traccia il quadro attuale della gestione dei rifiuti urbani nell’Unione europea, cercando poi di individuare le azioni e gli strumenti per cogliere gli obiettivi europei, facendo convergere i risultati dei vari Paesi; inoltre il lavoro valuta i possibili impatti di queste politiche in termini di crescita economica ed occupazionale.
Si parte da una situazione attuale dei Paesi dell’Ue nella gestione dei rifiuti urbani molto eterogenea infatti se da un lato ci sono Stati che hanno praticamente eliminato il ricorso alla discarica e hanno già raggiunto gli obiettivi previsti per il 2020 dall’altro esistono realtà in cui la discarica è ancora la modalità prevalente, se non l’unica, e il riciclo è una nicchia poco sviluppata dell’industria del waste management. Dall’analisi si evince che i livelli di smaltimento in discarica sono associati al Pil pro capite e lo studio restituisce l’immagine di un’Europa a tre diverse velocità, dove coesistono Paesi con ottime performance ambientali e Paesi meno avanzati.
Ora, alla luce del quadro attuale e degli obiettivi europei sono ipotizzati due possibili scenari al 2020. Il primo, definito scenario teorico, ipotizza che tutti i Paesi europei raggiungano gli obiettivi per il 2020 mentre il secondo, scenario prudente, tiene conto delle differenti situazioni di partenza e valuta in modo più realistico il fabbisogno di infrastrutture per le varie opzioni di trattamento. Un obiettivo unico di riciclo per tutti i Paesi pare, infatti, inadeguato tenuto conto anche delle loro differenti strutture industriali. Inoltre ci sono altri fattori che possono concorrere a un differente sviluppo del settore nei vari Paesi ossia la diversa composizione del rifiuto, le condizioni climatiche, ecc.
E come procedere con un adeguamento degli strumenti atti ad avviare il processo di convergenza e permettere il raggiungimento degli obiettivi? Sicuramente l’industrializzazione della filiera del riciclo e recuperi di efficienza nelle fasi di raccolta e selezione sono condizioni necessarie affinché i Paesi meno avanzati possano raggiungere i più virtuosi. Diverse sono le possibili aree di intervento:
– strutturare sistemi di finanziamento del servizio basati sul principio del pay as you throw in modo da favorire la riduzione dei rifiuti indifferenziati a favore del riciclo;
– favorire il consolidamento del settore e la crescita delle dimensioni degli operatori attraverso processi di aggregazione ed integrazione;
– definire ruoli, responsabilità e obiettivi chiari lungo tutta la filiera (responsabilità di filiera), per individuare per ogni criticità le cause e le possibili aree di intervento.
Per far crescere il riciclo, sono necessari investimenti in ricerca e sviluppo, in particolar modo per quei prodotti per i quali, ad oggi, sussistono le maggiori difficoltà.
Tale ricerca richiede ampie risorse e una cooperazione tra imprese, centri di ricerca e università.
E se la gestione del rifiuto coglierà gli obiettivi Ue questa potrà portare consistenti ricadute in termini economici e di occupazione. Nello scenario teorico, scenario in cui viene assunto il pieno raggiungimento dei target europei anche nei Paesi meno avanzati, le ricadute economiche addizionali generate nell’Ue dal raggiungimento degli obiettivi sono stimate in oltre 136 miliardi di euro nel periodo dal 2013 al 2020 mentre l’occupazione aggiuntiva creata nello stesso periodo dal raggiungimento degli obiettivi è stimata in 874.000 addetti.
Nello scenario prudente, dove gli obiettivi sono stati calibrati tenendo in considerazione le situazioni di partenza dei diversi Paesi, il giro d’affari aggiuntivo in Europa attribuibile al raggiungimento dei target è pari a 78 miliardi di euro dal 2013 al 2020 e l’occupazione addizionale ottenuta grazie al raggiungimento degli obiettivi al 2020 è valutata in 432.000 unità.
In definitiva, un settore che, grazie alle recenti direttive europee incentrate sulla raccolta e il riciclo del rifiuto, è diventato a tutti gli effetti un vero business, anche in termini di occupazione, attuale e soprattutto futura. Dal 2003 sono appunto raddoppiate le figure professionali impiegate in questo settore e, inoltre, le aziende italiane del riciclo fatturano, ad oggi, circa 9,5 miliardi di euro all’anno.
Un business in un settore necessario per il sostentamento del nostro pianeta che deve fare i conti con l’emergenza rifiuti, emergenza che può essere contenuta solo se viene a cambiare la nostra cultura che deve prevedere una diminuzione della quantità di rifiuti prodotti all’origine. Sinergie, collaborazioni fra le autorità locali, piani d’azione, piattaforme di scambio, programmi di formazione, campagne di sensibilizzazione per la condivisione di tecnologie ed esperienze, una chiave per affrontare la questione.