Una previsione negativa che potrebbe diventare realtà enntro il 2050 senza un «Consumption Change». «Questa è la prima volta in cui si dimostra che le azioni individuali per il raggiungimento di uno stile di vita più sostenibile, come ad esempio il ridotto consumo di carne, possono avere nel loro insieme un enorme impatto per la biodiversità del mondo»
Tigri, panda, rinoceronti e altre 440 specie sono a rischio di estinzione entro il 2050. Questo è quanto emerge da una recente ricerca che ha stimato l’impatto di futuri scenari di sviluppo antropico sulla conservazione delle specie di ungulati e carnivori del mondo. Lo studio, pubblicato sulla rivista «Conservation Letters», coordinato da ricercatori della Sapienza Università di Roma, col coinvolgimento di ricercatori appartenenti a 10 gruppi di ricerca internazionali, ha dimostrato che perseguendo l’attuale modello di sviluppo socio-economico si andrebbe incontro ad un aumento drastico dei tassi di deforestazione e di emissioni di CO2 e conseguentemente ad un aumento del rischio di estinzione per una specie su quattro di carnivori e ungulati. A queste si aggiungerebbero quelle già minacciate oggi, nessuna delle quali migliorerebbe il proprio status di conservazione secondo l’attuale modello di sviluppo socio-economico.
Dalla ricerca sugli indicatori di biodiversità emerge, però, una soluzione per evitare questo disastro ambientale, il «Consumption Change».
«Abbiamo scoperto – afferma Piero Visconti ricercatore affiliato presso il laboratorio Global Mammal Assessment del dipartimento di Biologia e biotecnologie C. Darwin della Sapienza e al centro di Microsoft Research a Cambridge – che uno scenario alternativo esiste ed è in grado di eradicare fame e povertà e di migliorare il benessere umano in generale, raggiungendo al contempo un miglioramento dello stato di conservazione della biodiversità».
In questo scenario di «Consumption Change» l’accesso alle risorse alimentari, energetiche e idriche da parte delle fasce più povere della popolazione umana aumenterà fino a raggiungere i «Millennium Development Goals» delle Nazioni Unite; allo stesso tempo i consumi e le emissioni pro-capite da parte dei paesi sviluppati saranno ridotti tramite una ridotta produzione di scarti agricoli post-produttivi, e con l’ adozione di una dieta più salutare e associata ad un minor consumo di carne, come raccomandato dalla Harvard Medical School of Public Health.
«Questa è la prima volta in cui si dimostra che le azioni individuali per il raggiungimento di uno stile di vita più sostenibile, come ad esempio il ridotto consumo di carne, possono avere nel loro insieme un enorme impatto per la biodiversità del mondo», dice Carlo Rondinini, coordinatore del laboratorio Global Mammal Assessment.
Lo studio evidenzia come l’aumentata domanda di prodotti agricoli potrà essere soddisfatta senza espandere le coltivazioni, grazie all’uso più efficiente dell’attuale capacità produttiva. Il percorso di cambiamento socio-politico di questo scenario è stato progettato in maniera ricorsiva, partendo da un set di obiettivi da raggiungere entro il 2050 e il 2020 e proiettando all’indietro, fino ai nostri giorni, i livelli di consumo di risorse necessari a raggiungere gli obiettivi finali, con l’uso di modelli socio-economici, biofisici ed ecologici. Questa tecnica, denominata «back-casting», è nuova nei settori dell’ecologia e della conservazione e in questo studio è stata testata per la prima volta per predire il rischio di estinzione futuro di un intero gruppo di specie animali.
«Questo studio offre preziose informazioni per il lavoro di Ipbes, la Piattaforma intergovernativa per la biodiversità ed i servizi ecosistemici dell’Onu, il cui compito è di indicare alle Nazioni Unite le politiche ambientali e socio-economiche necessarie a limitare la grave perdita di biodiversità in atto», aggiunge Rob Alkemade dell’Agenzia per l’Ambiente olandese e capo dell’Unità di supporto tecnico su modelli e scenari di Ipbes.