Quello delle energie rinnovabili, è un settore che trova molti sostenitori. Questi, purtroppo, in gran parte non sono orientati, però, verso obiettivi di miglioramento della qualità della vita, ma verso la ricerca di sistemi che possano fornire energia da consumare senza limiti e a basso prezzo. Dovremmo, invece, prendere atto che di tali energie c’è, è vero, una disponibilità molto ampia, ma che esistono anche dei vincoli connessi al loro sfruttamento. Dovremmo dare la più ampia rilevanza alla valutazione e valorizzazione di questi vincoli perché sono indicatori essenziali dello stato e della tenuta degli equilibri vitali.
Dunque, nel settore energetico, come in qualsiasi altro settore produttivo, oltre le garanzie sulla fattibilità, di progetti e opere che modificano i nostri contesti di vita, dovrebbero essere richieste anche garanzie sulla loro sostenibilità da parte degli equilibri naturali e, cioè, sulla loro compatibilità con la diversità presente nei sistemi ambientali coinvolti: si tratta di ottimizzare i risultati attesi, dagli interventi dell’uomo sull’ambiente naturale, con la necessità di non compromettere lo sviluppo dei processi vitali in atto (non solo energia per fare le cose, ma anche controllo degli impatti ambientali, sociali ed economici generati).
Nei contesti che interferiscono significativamente con lo stato della condizione umana, non possiamo accettare che la sua diversità sia deformata o addirittura annientata (come può avvenire, per esempio, in un ciclo produttivo, continuo e meccanico, che toglie il respiro alle polimorfe specificità creative della natura umana).
Oltre l’energia erogata dal sole, indispensabile per i processi biologici (che hanno sempre assicurato risorse in abbondanza per garantire tutti gli equilibri naturali), in poco più di due secoli, l’uomo ha immesso, nel proprio ambiente di vita, non solo quantità immense di energia che erano state accumulate in varie forme (petrolio, carbone, gas) nel corso di milioni di anni, ma anche residui tossici (derivanti dai processi di trasformazione) ed enormi e nocive quantità di prodotti di combustione.
L’aumento della produzione dell’energia interferisce con l’ambiente producendo effetti non immediati e, purtroppo, non sempre rilevabili, con certezze assolute e in tempo utile, a causa dell’incontrollabile numero di fattori e delle indefinite relazioni che sono messe in gioco. Il cambiamento che riusciamo a percepire è solo quello climatico: oggettivo, ma di complessa elaborazione valutativa. In mancanza di precauzioni (come, purtroppo, avviene spesso oggi) il cambiamento sarà drammaticamente accertato solo quando sarà diventato un ostacolo fisico alla crescita continua dell’economia del mercato libero dei consumi, quando, cioè, l’equilibrio naturale sarà, purtroppo, già diventato irrecuperabile. Solo di fronte al disastro, quando qualsiasi intervento diventa inefficace, riusciamo a prendere atto della nostra incapacità di valutare i pericoli e di rimediare in tempo ai devastanti effetti di un’irrazionale e sconsiderata gestione delle risorse naturali.
Ma, anche di fronte a questi drammatici scenari, c’è sempre chi si mostra assolutamente convinto che l’ambiente terrestre (avendo, finora, dato prova di saper resistere ad ogni cambiamento estremo) non offrirebbe motivi per preoccuparci e per dare significati, considerati impropri, a cambiamenti che sono stati ricorrenti nella lunga storia della Terra e sempre senza conseguenze, così estreme da arrivare a compromettere i suoi fenomeni vitali. Tutte valutazioni, queste ultime, che non consentono, però, sia di eludere le nostre responsabilità, sia di sottovalutare l’arbitrarietà delle loro conclusioni, derivanti da analisi non esaustive che non prendono in considerazione quegli eventi imprevedibili che l’esperienza umana ci invita a considerare, invece, molto probabili, al di là delle semplicistiche e mistificanti convinzioni di senso comune.
Se è vero che non siamo in grado di misurare e prevedere con certezze assolute gli impatti dei cambiamenti, che realizziamo con i nostri interventi sull’ambiente naturale (se non già modificato in precedenza), non possiamo accettare, però, che gli eventuali disastri, procurati in mancanza di nostre intelligenti e dovute precauzioni, vengano attribuiti non all’ingiustificabile sprovvedutezza o all’accecamento prodotto dall’avidità di denaro o alla sete di potere e di possesso delle cose, di alcuni uomini, ma a una specie di inconoscibile e comunque ignorato destino che si vorrebbe fosse attribuito a una cattiva sorte.
È sintomatico, a questo proposito, il delirante messaggio (estrapolato da una quotata ricerca scientifica e diffuso, di recente, dai media) secondo il quale la gran parte dei tumori, dipendono da un destino già segnato nel patrimonio genetico di ciascun essere umano. Dunque, si vorrebbero, così, escludere o minimizzare le cause ambientali che sono, invece, se non la causa diretta, quantomeno la causa scatenante la patologia tumorale, come è già stato e continua ad essere, ampiamente confermato da moltissime e ripetute ricerche sperimentali.
Stiamo consumando fonti preziose di materie prime e di energia che sono risorse essenziali per migliorare, nel tempo, la qualità della vita umana. L’indicazione di «combustibile», che dovrebbe segnalare solo una condizione di pericolo, caratteristica di alcuni materiali pericolosi da manipolare, è segno, invece, di un loro preordinato destino di consumo totale e distruttivo così diffuso da mettere a rischio la salute di tutti gli esseri viventi. Ma, qualsiasi attività o sostanza che mette a rischio la nostra vita, non può essere in alcun modo un prezzo, da pagare e far pagare, per favorire profitti o per sostenere uno sviluppo incontrollato delle tecnologie. Non possiamo, dunque, continuare a immolare le nostre limitate disponibilità di risorse naturali, essenziali per promuovere progresso umano, sul rogo della crescita dei consumi.
I meccanismi del fare (privati di una riflessione efficace, sul loro senso, e di un orientamento, responsabilmente ricercato, sulla percezione fisica e immateriale, del divenire della realtà) finiscono col potenziare solo un cieco sviluppo tecnologico e un’insensata ricerca delle sue applicazioni da offrire, senza limiti e in quantità incontrollate, al mercato dei «consumi a perdere».
Sono meccanismi che degradano risorse e procedono velocemente, senza neanche cercare una finalità umana che possa trovare, nelle nostre connotazioni culturali, sociali, politiche ed economiche, risposte specifiche, ai bisogni di migliori qualità relazionali, e opportunità per dare adeguato spazio vitale alle aspirazioni umane più profonde. Sono meccanismi che ci privano di quel «sapere e poter fare» responsabile che dà senso al nostro vivere e che valorizza, le nostre diverse identità, come elementi unici ed essenziali di sinergie sociali. Siamo in presenza di processi, con un’elevata componente entropica, che distruggono risorse per trasformarle in prodotti e servizi e che attivano meccanismi autodistruttivi di mode e mercati che essi stessi alimentano.
Sono processi che alla fine propongono i loro rifiuti come unici prodotti duraturi di un già insostenibile e deviante mercato dei consumi. In questo scenario anche la creatività, applicata come motore di un effimero mondo di sogni, diventa un consumo: una realtà virtuale che poggia sui fragili piedi di argilla di prodotti continuamente distrutti e sostituiti per dare quel senso del cambiamento, non meglio definito (fatto immaginare come risposta, in realtà solo formale e illusoria, a un progredire delle cose), che surroga l’impotenza di una vita paralizzata dalle ritualità ripetitive dei consumi di moda.
Siamo in presenza di una corsa, senza mete di reale progresso umano (o peggio con temibili mete occulte), che è resa evidente non solo da una sostanziale mancanza di finalità e di senso nelle scelte, ma anche dall’assenza di quegli obiettivi concreti, connessi alla realizzazione delle aspirazioni più profonde dell’uomo, che dovrebbero segnare nuove e visibili orme di miglioramento della condizione umana. Tantomeno sono immaginate verifiche e modifiche per porre rimedi ai fallimenti di uno sviluppo che immagina di poter disporre di fonti infinite di energia, così come richiesto dagli attuali modelli di crescita continua dell’economia del libero mercato dei consumi.
Oggi, ci troviamo indistintamente inseriti in un meccanismo, di trasformazione e consumo distruttivo di beni naturali, che prosegue, senza senso, nella costruzione di una necropoli di risorse e di energie esauste e irrecuperabili (se non a spese di distruzione di altre risorse ed energie, con annessa produzione di altra entropia) e verso un loro ineluttabile confinamento terminale in cimiteri di rifiuti che dominano, con non sempre percepibili aggressioni, la qualità della nostra vita.