I processi lineari aperti stanno diventando obsoleti nel confronto con i processi produttivi chiusi dove il riciclo e la valorizzazione dei rifiuti crea una serie di economie tali da innescare vantaggi competitivi vincenti sia sul piano micro sia nella loro ricaduta ambientale macro economica. Le nuove tecnologie, se applicate in un contesto dottrinale vecchio rischiano di acuire squilibri e debolezze sistemiche
Il fabbisogno di acqua e di energia sono le cause primarie delle guerre, il World watch institute di Lester Russell Brown è dal 1974 che fornisce studi e approfondimenti, poi i cambiamenti climatici hanno sepolto tutto ed incrementato le problematiche planetarie ma i problemi sono rimasti là, irrisolti. Poi con le varie guerre in Medio Oriente o nei Balcani hanno riportato in luce il rapporto energia/guerra. I soliti rompiscatole degli ambientalisti hanno iniziato da anni a sollecitare soluzioni più semplici, meno costose e impattanti. La ricerca e la scienza hanno risposto ma la politica e il mercato no. Così soluzioni già pronte sono ferme perché… «Non si può Fare». Tiziano Perfetti, in questo articolo fa un ragionamento che può aiutare a capire. Altre prospettive sul nostro numero appena messo on line sull’energia, il primo di quest’anno che ci vedrà impegnati proprio sul grande tema dell’energia.
Senza Acqua ed Energia non c’è Futuro.
Acqua ed Energia sono gli elementi che determinano la vita.
Acqua ed Energia sono gli elementi necessari alla nostra vita quotidiana.
Acqua ed Energia sono gli elementi vitali da cui nessuna ipotesi di sviluppo può prescindere. Per questo motivo sono elementi preziosi, così preziosi da risultare strategici. Parlare di Acqua e di Energia, infatti, vuol dire toccare i problemi materiali basilari proiettandoli immediatamente in una logica che parla tutte le lingue del mondo.
Una «Babel» dove la sovrapposizione delle voci crea molta informazione ed altrettanta disinformazione, dove i ragionamenti teorici rimandano invece alla realtà di invasi, dighe, canali, oleodotti, serbatoi… tutti terminanti con un rubinetto.
La realtà della vita e la globalizzazione
La realtà che riguarda gli elementi fondamentali della vita assume sempre la forma di una chiusa, valvola, rubinetto, contatore, serratura, lucchetto… quasi che la loro chiusura all’accesso diffuso fosse parte stessa della loro essenzialità.
Infatti, la loro disponibilità in forma scarsa rappresenta la chiave di controllo che ha animato, ed in parte ancora anima, la logica geopolitica dominante.
Questo apparato dottrinale, che si fonda sull’assunto che l’acqua debba essere distribuita da una rete idrica e che l’energia debba prodursi attraverso la combustione o, meglio, per cogenerazione, da combustibili fossili in grandi centrali approvvigionabili da cui distribuirla con elettrodotti e reti infrastrutturali costose e complesse.
Questo scenario assegna un primato ormai secolare al modello produttivo (vetero) industriale che preferisce concentrare fisicamente e materialmente i fattori produttivi secondo criteri di unità di spazio.
Un modello quasi paradossale nell’era della virtualità cibernetica, una logica produttiva e distributiva che prima concentra e poi distribuisce, arrivando a posizionare e riposizionare fisicamente le fonti di materiali a seconda dei prezzi e delle infrastrutture e le fabbriche di trasformazione a seconda delle legislazioni, delle sindacalizzazioni, e della pressione fiscale.
Un modello di grande coerenza materiale che concentra le sue scelte in combinazioni semplici o semplificanti: tutto si fa in modo da poter facilmente trasportare le materie prime che alimentano le fabbriche, collocandole laddove la manodopera sia disponibile in ambiente legale scarsamente tutelante e la fiscalità poco elevate per riversare sui mercati omologati dall’universalismo culturale del consumo i suoi prodotti standardizzati. Questa è in estrema sintesi la prospettiva della Globalizzazione, il fenomeno strutturale di cambiamento che sta caratterizzando una sorta di «età di mezzo» soprattutto occidentale ed «Atlantica».
La Globalizzazione si sviluppa nelle coscienze come la rappresentazione della modernità proiettata verso il futuro, mentre altro non è se il tentativo, anche maldestro, di fondare un nuovo ordine globale ovvero «mondiale» in grado di superare la dicotomia duale capitalismo-comunismo del periodo della Guerra Fredda.
Una dicotomia mai superata
In realtà questo momento di confronto manicheo non è mai stato veramente superato, e non potrà esserlo finché il potere si esprimerà con gli intelletti degli uomini che lo hanno concepito e gestito per decenni. Il bagaglio culturale e geopolitico della Guerra Fredda complica solamente la sua dinamica dopo 1988/89 ed il collasso della ex-Unione Sovietica. L’avanzata sulla ribalta mondiale del comunismo asiatico e, con esso, dei termini non ancora del tutto frequentati dai modelli interpretativi occidentali crea una nuova sfida soprattutto industriale e commerciale oltreché militare.
Il crollo del dualismo imperialista di Yalta non consente più di realizzare quegli obiettivi di geopolitica con il confronto solo rappresentato e «contabilizzato» attraverso la minaccia atomica. La demilitarizzazione nucleare e l’abbandono della produzione energetica massiva a materiali fissili radioattivi dopo l’incidente nucleare di Chernobyl ha spostato dialettica imperiale verso microconflitti regionali o verso campagne più importanti ad intensità limitata.
Se la deterrenza nucleare delle superpotenze non può più essere la semantica del confronto dell’epoca multicentrica globalizzata allora la medesima deve ridefinirsi nella lingua del controllo dello sviluppo.
A riprova, in tutti i conflitti sviluppatisi dopo il 1989, il tema dominante degli scontri sono state energia ed acqua.
Poter disporre di Petrolio, Gas, Acqua ed Ecologia per crescere.
La dominanza di un modello di processo produttivo «aperto», di tipo lineare, ha bloccato ogni altra dinamica evolutiva di tipo scientifico ed industriale applicato.
Si sono via via sempre più apertamente ignorati nuovi processi e sistemi nuovi che provassero a scardinare la sequenza lineare aperta: dallo sfruttamento delle risorse naturali l’industria lineare che trasforma le materie prime in prodotti standardizzati, li consuma e ne getta i rifiuti in discarica. È evidente come questa dinamica sia il processo dell’impoverimento e della contaminazione, in una parola della corsa all’autodistruzione. Evidente quindi come gli interpreti maggiori della globalizzazione siano coloro che ne producono le maggiori contraddizioni a causa di una sua inadeguata interpretazione dottrinale.
Il comunismo cinese ha tentato di vincere la competizione con l’occidente puntando su di un confronto coerente con il marxismo industrialista che lo ispira: ma il vantaggio sulla price competition si è realizzato con la compressione dei diritti umani individuali, sull’azzeramento dei costi di salvaguardia ambientale, sul controllo a dinamica imperialista sull’approvvigionamento delle materie prime e l’importazione della conoscenza manageriale.
Il collettivismo ha provato ad uccidere i mercati del decadentismo consumista con il dumping statale, l’artefazione dei prezzi delle principali materie prime, la forzatura dello snodo della raffinazione degli idrocarburi. Si è cercato di costruire i presupposti infrastrutturali per la creazione di uno spazio energetico nuovo in oriente alternativo e conflittuale a quello Americano tentando di dominare da nuovo monopolista lo sfruttamento delle rinnovabili attraverso la disponibilità quasi esclusiva di silicio per semiconduttori e litio, elementi basilari nel fotovoltaico classico e nella conservazione dell’energia in batteria.
Molti possono scorgere l’aggressività asiatica nelle crisi strutturali dell’occidente europeo e nella finanza anomala del mondo globale: la prova sono le irregolarità «anomale» del corso delle Commodities, ormai molto indipendenti dal solo valore determinato dal livello delle scorte.
Questo scenario pseudo Globalizzato si rende più evidente per logica d’eccezione che per evidenza assertive: noi conosciamo la Globalizzazione soprattutto per le sue contraddizioni, prima fra tutte la Glob-Loc.
Il controllo dell’acqua e dell’energia
La verità sta sempre di più nel controllo geopolitico dell’acqua e delle energie da parte di nuovi aspiranti padroni.
Ecco allora che nello scenario del controllo materiale delle fonti energetiche fossili la vera rivoluzione sta nella conoscenza: i lucchetti del controllo materiale saltano solo se l’incremento delle opzioni possibili passa per la virtualità, per lo spostamento della salienza competitiva dalla catena di montaggio alla nuova tecnologia, alla rivoluzione del «modo di produrre» alla competizione «a bolle» di rete e non a «fronte omogeneo».
La prima ed incolonizzabile risorsa della civiltà occidentale è la libertà individuale e la densità storica che l’ha generata è il primo presidio rivoluzionario per il superamento dei processi lineari di sviluppo industriale critico, basato sul monopolio degli idrocarburi e sulla militarizzazione dell’acqua.
I processi lineari aperti stanno diventando obsoleti nel confronto con i processi produttivi chiusi dove il riciclo e la valorizzazione dei rifiuti crea una serie di economie tali da innescare vantaggi competitivi vincenti sia sul piano micro sia nella loro ricaduta ambientale macro economica. Le nuove tecnologie, se applicate in un contesto dottrinale vecchio rischiano di acuire squilibri e debolezze sistemiche. È innegabile che le nuove tecnologie (e la loro accessibilità) sono la chiave immateriale e vitale per il superamento dello strumento conflittuale geopolitico basato sul controllo dell’hardware, con una nuova «pratica dominante» residente nel «know-how» ovvero dell’inaccessibilità del software.
Il grande dibattito sullo sfruttamento dei diritti intellettuali lo testimonia. La forma produttiva perde quindi rigidità a vantaggio della flessibilità basata sul by-pass del monopolio distributivo dell’energia.
Le soluzioni già pronte…
L’energia ci viene descritta come risorsa scarsa per meri motivi di mercato e quindi prezzo. Sono già oggi disponibili tecnologie tali da rendere abbondante e diffusa l’energia che serve allo sviluppo, al benessere ed alla tutela dell’ambiente e della vita. Ci sono nuove tecnologie ormai utilizzate da tempo in ambiti militari o elitari, comunque istituzionalmente connessi, tanto da essere ormai mature e sicure, pronte per entrare nell’uso diffuso per scopi civili. Pronte da un punto di vista del funzionamento e della performance: l’autovettura Swisskar K1 è la prima autovettura No-Plug a Sistema di ricarica elettromagnetico ma la sua esistenza viene ignorata e negata con continui attacchi mediatici.
Il fotovoltaico biologico, ad esempio, è in grado di sviluppare resa elettrica crescente nel tempo sfruttando la luce diffusa e non necessariamente incidente, lo sfruttamento del moto ondoso delle acque libere con sistemi di generazione a moto pendolare, la piezo-generazione, la generazione da fonte rinnovabile classica integrata con materiali a conduzione spontanea (come, ad esempio, il graphene resi fotosensibili con pigmentazione clorofilliana o comunque con sostanze naturali fotosensibili, ed in questo senso la possibilità offerta dai polimeri conduttori (ICP e ECP) è enorme, implementata dalla possibilità di carico metallico nanotecnologico a livello molecolare.
La maturità del Sistema eolico di elettrogenerazione consente di dare impulso alla realizzazione di installazioni avulse dalla logica del campo eolico, dando vita alla microgenerazione eolica a basso impatto, possibile grazie a turbine aerodinamiche multiasse in materiali ultraleggeri operanti in assenza di attrito strutturale a giunti Mag-Lev, bio-batterie red-ox a scomposizione molecolare, amplificazione elettro magnetica di tipo KEM.
…Ma il mercato non risponde
Tutte queste soluzioni rappresentano una sorta di «costellazione tecnologica» in grado di produrre energia a bassissimo costo e soprattutto «outgreed», fuori dalle reti distributive. La disponibilità dell’energia generata in via differente dalla cogenerazione centralizzata e distribuita esiste ormai da tempo. Ciò che manca non è la tecnologia, anche se ancora largamente implementabile e «fertilizzabile»: ciò che manca è la possibilità di essere competitive in un mercato dove i valori dell’energia ceduta e quella acquistata sono eccessivamente sbilanciati.
Ecco che la risposta per l’avvio di una trasformazione reale della produzione e del consume energetico deve venire dal mercato e dalle regole e non dalla scienza che ha già dato risposte e soluzioni vincenti dai tempi di Tesla e Marconi.
Non esiste una tecnologia che sia «la Risposta», piuttosto l’uso contaminato e quindi l’ibridazione nella definizione applicativa fornisce le risposte e le prestazioni necessarie all’avvio di un processo di evoluzione tecnica capace di sviluppare un progressivo abbandono della combustione come unico sistema per la produzione delle energie necessarie alla vita ed allo sviluppo.
Quello che manca, stante la disponibilità ancorché decisamente elitaria delle tecnologie, è la capacità di gestire il cambiamento strutturale dei mercati e prima ancora quello dei comportamenti. Il passaggio dal mondo attuale a quello prossimo-possibile della Bio-Democrazia Energetica richiede dei momenti di transito evolutivo dove la dimensione Pubblica sia mossa dalla volontà politica di realizzare scelte di libertà individuale decidendo di spostare il momento impositivo dalla produzione al consume, dalle persone alle cose.
Il nemico non è la tecnologia né la politica in se stessa ma l’intreccio tra gli interessi degli operatori economici che operano per la conservazione dello status quo.
La sola tecnologia di scissione molecolare a particelle con metodo al plasma è già oggi in grado di sostituire le gigantesche, costose ed inquinanti centrali di cogenerazione tradizionali, alimentate a combustibili fossili con centri di valorizzazione dei rifiuti che producono ed amplificano energia elettrica in trigenerazione.
I rifiuti possono essere facilmente valorizzati con un processo di scomposizione molecolare in ambiente ionizzato senza emissioni inquinanti in ambiente. Questa non è una prospettiva ma una realtà già presente sul mercato.
La portata innovativa della sola tecnologia di scissione molecolare al plasma con reattori KPR è enorme ed immediatamente disponibile, anzi, le autorità ne hanno già addirittura autorizzato in un paese di area Ue l’installazione.
Le micro-centrali Waste-to-Energy a scissione molecolare, ottenuta con flusso di particelle in ambiente ionizzato con metodo al plasma, sono realizzate in unità componibili, prodotte in skid containerizzati ed installabili in pochi giorni. Il loro costo è competitivo rispetto alle centrali di incenerimento ma, soprattutto, non inquinano e producono grandi quantità di energie e di acqua potabile ad emissioni zero.
La portata applicativa è enorme e doppiamente impattante: l’utilizzo diffuso delle microcentrali del tipo KPR consente non solo di risolvere il problema energetico ma anche quello ecologico.
Basta immaginare installazioni di processi WTE a bocca di discarica dove il nuovo conferimento si mischia al materiale già presente in discarica per la progressiva bonifica e svuotamento della stessa…
La verità è che l’energia non è data in dimensione scarsa per motivi di inadeguatezza della disponibilità tecnologica.
La verità è che la risposta tecnologica esiste già.
La verità è che serve una volontà collettiva che dia nuovamente ruolo centrale allo Homo faber.
La verità è che ci serve un nuovo «Rinascimento» che possa travolgere tutti i «Bellarmino» che oggi, agitando la bandiera pseudo-scientista, si fanno sacerdoti all’altare del «Non si può Fare».