È la tribù più piccola e vulnerabile della bassa Valle dell’Omo, sono ridotti alla fame a causa della distruzione della loro foresta e del lento prosciugarsi del fiume da cui dipendono. La tribù (che conta solo 1.000 persone) caccia, pesca e coltiva raccolti lungo le sponde del fiume Omo. Ma l’imponente diga Gibe III e la connessa irrigazione su larga scala delle piantagioni commerciali nelle terre indigene avranno l’effetto di fermare le piene del fiume Omo e distruggere le riserve di pesce da cui dipendono i Kwegu
Survival International, il movimento mondiale per i diritti dei popoli indigeni, ha ricevuto rapporti preoccupanti dall’Etiopia: i Kwegu, la tribù più piccola e vulnerabile della bassa Valle dell’Omo, sono ridotti alla fame a causa della distruzione della loro foresta e del lento prosciugarsi del fiume da cui dipendono.
La tribù (che conta solo 1.000 persone) caccia, pesca e coltiva raccolti lungo le sponde del fiume Omo. Ma l’imponente diga Gibe III e la connessa irrigazione su larga scala delle piantagioni commerciali nelle terre indigene avranno l’effetto di fermare le piene del fiume Omo e distruggere le riserve di pesce da cui dipendono i Kwegu. Recenti immagini satellitari rivelano che il governo etiope ha già cominciato a riempire il bacino idrico della diga.
«Forse moriremo. Il fiume ci tiene in vita. Dove andremo a vivere se portano via l’acqua dal letto del fiume? Se non ci saranno più pesci, cosa daremo da mangiare ai bambini?», aveva detto un uomo Kwegu in una scioccante video-testimonianza del 2012, quando erano iniziate le operazioni per spianare la loro terra.
Oggi molti membri della tribù denunciano che i loro alveari sono stati distrutti dalle piantagioni di canna da zucchero del progetto governativo Kuraz e che i raccolti di sorgo piantati lungo le sponde del fiume non sono cresciuti perché non ci sono state le piene stagionali. Per sopravvivere, i Kwegu dipendono dal cibo delle tribù vicine.
I popoli indigeni della bassa Valle dell’Omo non sono stati praticamente consultati in merito ai progetti che interessano le loro terre, e chi decide di resistere si scontra con la forza brutale e le intimidazioni. Il governo sta costringendo con la forza diverse tribù a sedentarizzarsi, in un processo noto come «villagizzazione».
«Il governo ci ha detto che dobbiamo vivere in case nuove, ma noi non vogliamo…» ha dichiarato questa settimana a Survival un uomo Suri, un popolo che confina con i Kwegu. «Non hanno cercato di spiegarci cosa stanno facendo, né ci hanno chiesto cosa vogliamo».
L’Etiopia è uno dei principali paesi beneficiari degli aiuti americani, inglesi, tedeschi e italiani. Di recente, il Dipartimento britannico per lo sviluppo internazionale (Dfid)[1] ha annunciato che smetterà di finanziare un programma collegato ai reinsediamenti forzati delle tribù. L’agenzia britannica non ha, però, ridotto la quantità del suo aiuto all’Etiopia, né ha fatto alcun riferimento al programma di reinsediamento.
Inoltre ad oggi, nonostante la crescente crisi umanitaria nella valle dell’Omo, non è ancora stato diffuso il rapporto della missione nell’area compiuta nell’agosto 2014 dal Development Assistance Group, un consorzio dei più grandi donatori all’Etiopia, di cui fanno parte anche l’Italia [2], gli Stati Uniti, la Gran Bretagna, la Germania e la Banca Mondiale.
«Le agenzie dei donatori devono garantire che i soldi dei contribuenti non siano utilizzati per sostenere governi responsabili dello sfratto dei popoli indigeni dalle loro terre – ha dichiarato oggi Stephen Corry, Direttore generale di Survival International -. Dichiarano di voler aiutare i più poveri ma chiudono un occhio sulle numerose denunce di violazioni dei diritti umani nella bassa valle dell’Omo, e continuano a sostenere un governo oppressivo determinato a trasformare tribù auto-sufficienti in rifugiati interni dipendenti dagli aiuti».
[1] Il budget totale degli aiuti del Dfid all’Etiopia per il 2014/2015 è di 368.424.853 sterline (510.729.000€).
[2] L’Etiopia è stato riconfermato uno dei paesi prioritari per gli aiuti italiani, per il triennio 2013- 2015, con un raddoppio dei fondi stanziati rispetto al triennio precedente pari a 99 milioni di euro.