Negli ultimi dieci anni circa il movimento del suolo è ripreso e ha prodotto un innalzamento di circa 28 centimetri. Individuate nuove fumarole marine e studiati in dettaglio resti archeologici sommersi grazie a una mappa dettagliata del fondale, recentemente pubblicata su «Journal of Maps». Lo studio, coordinato dall’Ingv-Osservatorio Vesuviano, in collaborazione con il Cnr, rientra nel progetto
Muri romani, antichi basolati e reperti di duemila anni fa tra emanazioni di gas vulcanici. È il paesaggio sottomarino delle acque della baia di Pozzuoli, a nord di Napoli, evidenziato da una mappa batimetrica ad alta risoluzione, sviluppata dall’Osservatorio vesuviano (Ov) dell’Istituto nazionale di geofisica e vulcanologia (Ingv), in collaborazione con l’Istituto per l’ambiente marino costiero (Iamc) del Consiglio nazionale delle ricerche (Cnr) di Napoli, nell’ambito del progetto Monica (Monitoraggio innovativo delle coste e dell’ambiente marino).
Lo studio High-resolution morpho-bathymetry of Pozzuoli Bay, southern Italy, finanziato dal ministero dell’Istruzione, dell’università e della ricerca (Miur), e recentemente pubblicato su «Journal of Maps», ha esplorato le strutture portuali, i complessi residenziali e termali di età romana, come il Portus Iulius e la villa dei Pisoni, sommersi dal mare a causa dei movimenti verticali del suolo, all’interno di un contesto ricco di emissioni fumaroliche per la natura vulcanica del territorio. Il team di ricercatori partenopei ha ricostruito la morfologia dell’area marina individuando, mediante ecoscandaglio multibeam, la presenza e la posizione di strutture archeologiche fino a circa 15 metri di profondità.
«Ma c’è di più – afferma Renato Somma, ricercatore dell’Ov-Ingv -. Sono state scoperte aree finora sconosciute di emissione di gas vulcanici, e individuati terrazzi marini a varie profondità. Il rilievo batimetrico ha dato un’immagine senza precedenti della morfologia del fondale marino della baia di Pozzuoli e rappresenta un contributo alla comprensione dell’evoluzione della caldera dei Campi Flegrei, un’area vulcanica attiva ad alto rischio, abitata da quasi un milione di persone». La mappa, prodotta a scala 1:10000, rappresenta anche un importante strumento per la definizione di scenari multirischio e per il controllo dell’evoluzione delle aree costiere.
«La baia di Pozzuoli – spiega il direttore dell’Ov-Ingv e coordinatore del progetto Monica, Giuseppe De Natale – costituisce la parte centrale della caldera dei Campi Flegrei, un’ampia struttura vulcanotettonica che si è formata in seguito alle eruzioni vulcaniche dell’Ignimbrite Campana (la maggiore eruzione esplosiva avvenuta nell’area campana 39.000 anni fa) e del Tufo Giallo Napoletano (la seconda eruzione per importanza nell’area campana, di 15.000 anni fa). L’ultima eruzione è avvenuta nel 1538. Nel passato l’area è stata più volte interessata da movimenti del suolo legati alla dinamica vulcanica e recentemente si sono verificati due ulteriori episodi di bradisismo, negli anni 1969-1972 e 1982-1984, che hanno prodotto un sollevamento complessivo del suolo di circa tre metri e mezzo, accompagnati da sciami di terremoti di bassa energia. Negli ultimi dieci anni circa il movimento del suolo è ripreso e ha prodotto un innalzamento di circa 28 centimetri a oggi».
Il progetto Monica è finalizzato alla prevenzione e alla gestione delle emergenze ambientali, soprattutto marine e costiere, anche attraverso la realizzazione di un sistema di monitoraggio in fibra ottica, costituito da sensori installati su fondale marino, che andrà a integrare i sistemi già esistenti a terra.
«L’obiettivo è costituire un sistema di monitoraggio marino-costiero che, insieme ai sistemi basati a terra, sia in grado di controllare fenomeni naturali quali terremoti, eruzioni, movimenti franosi, maremoti e possa essere ulteriormente implementato con sensori capaci di rilevare parametri biologici e di inquinamento marino, nonché fenomeni antropici quali traffico marittimo ecc.», prosegue De Natale.
Il Modello digitale del terreno dell’area emersa di Pozzuoli (Dtm), prodotto nel corso di questo studio, è stato integrato con quello realizzato in precedenti campagne di ricerca e dati relativi all’area costiera dei Campi Flegrei, acquisiti nel 2004 dalla Regione Campania.
«Ulteriori rilievi in corso porteranno all’installazione di un cavo sottomarino interrato in fibra ottica, che collegherà alla terraferma alcune stazioni di monitoraggio geofisico collocate sul fondo marino», conclude il direttore dell’Ov-Ingv.