In realtà in territori diffusamente occupati da edifici, strade e piazze (come erano già allora quelli delle città), queste soluzioni di uso, recupero e riuso di ogni risorsa ancora vitale, a qualsiasi livello disponibile, sarebbero state troppo complicate da attuare. Soluzioni rese, oggi, ancora più impraticabili da un’economia impegnata non a razionalizzare le risorse, ma tormentata solo dall’ansia di riuscire a far crescere i consumi e di conseguenza a far crescere i relativi rifiuti. Diversamente dalle risorse, che vengono meno nei luoghi di provenienza, i rifiuti creano uno smisurato accumulo di materiale degradato, nei luoghi dei consumi. Un accumulo reso ingovernabile per la composizione (non differenziabile in modo affidabile) che lo caratterizza, ma ancor più per il suo carico di sostanze pericolose e nocive. I rifiuti che possono essere controllati con efficienza sono solo quelli presenti in quantità significative e selezionati nelle fasi di produzione di attività industriali o agricole.
La raccolta differenziata dei rifiuti urbani è, invece, affidata solo al senso di responsabilità dei cittadini e non offre, ancora oggi, sufficienti garanzie (per esempio i rifiuti organici, virtualmente ancora riciclabili, possono contenere, farmaci, liquidi per l’igiene della casa, frammenti di metalli e di vetro che, consegnati, anche inavvertitamente, alla raccolta dell’organico, possono rendere pericoloso e nocivo il prodotto ottenuto dal riciclo se destinato ad un uso agricolo ).
Garantire buona qualità e quantità gestibili di rifiuti è stato un’irriducibile problema delle città già nel recente passato e tanto più lo è oggi: non si tratta solo di curare un formale decoro del territorio e l’ordine delle cose per un’organizzazione razionale della vita civile, ma si tratta, soprattutto, di garantire la fondamentale igiene dei luoghi e la buona salute dei loro abitanti con misure preventive che li mettano in condizioni di sicurezza. I rifiuti non sono solo sgraditi agli occhi e sgradevoli all’odorato, ma rischiano anche di trasformarsi in minacciose cause, dirette ed indirette, di gravi infezioni ambientali, individuali ed epidemiche.
Rifiuti maltrattati predispongono a trasformare gli ambienti in fonti di infezioni e i loro occupanti in veicoli di diffusione di patologie virali e batteriche. Pericolo, questo, sicuramente presente fino ad alcuni nostri decenni fa, ma che, ancora oggi, minaccia diverse regioni del mondo (a volte anche perché trasformate in discariche locali invase da consumi globali). Pericolo che ha favorito (con una continuità che arriva fino ai nostri giorni) scelte disastrose e ingestibili, per un’ingannevole immediatezza delle soluzioni che tali scelte sembravano offrire, ma che si sono rivelate, poi, del tutto inadeguate, se non anche subdolamente preordinate, e forse non valutate nella reale dimensione delle loro, spesso irrimediabili, conseguenze.
Non è una soluzione, infatti, la pratica di confinare crescenti quantità, di materiale indifferenziato, in discariche che pur possono apparire quasi «naturalmente» predisposte ad accogliere i nostri rifiuti (cave, luoghi comunque non in vista, anche se poi i loro miasmi ne rendono immediata individuazione). Che le discariche, poi, fossero destinate a riempirsi era prevedibile e previsto, ma non si immaginava, forse, che tutto potesse avvenire con tanta velocità da saturare, nel corso di qualche decennio, tutte le aree disponibili. I rifiuti, che sono stati così accumulati, oggi non si presentano come problemi a basso impatto (solo da consegnare ad un futuro molto lontano), che potevano essere considerati, pur egoisticamente, un problema di altre generazioni e che, comunque, sarebbero stati risolti da future ed efficaci nuove tecnologie.