Ecco l’agricoltura spaziale

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Eugenio Benvenuto dell’Enea: «La ricerca agronomica rende oggi possibile coltivare piante in luoghi estremi come la Stazione spaziale internazionale, grazie a colture “fuori suolo” o idroponiche, che non hanno bisogno di suolo per crescere ma solo di acqua e sostanze nutritive»

Piante in grado di crescere nello spazio per fornire alimenti «freschi» nelle stazioni orbitanti del futuro: è questo l’obiettivo che si pone Enea con le ricerche condotte sul pomodoro «Micro-Tom», una varietà nata come pianta ornamentale, ma con caratteristiche tali da adattarsi ad un «orto spaziale». Questi temi sono stati al centro del workshop «Agrispazio: colonizzare Luna e Marte per nutrire la Terra», che si è tenuto al Museo dell’Ara Pacis a Roma, nel corso del quale si è discusso di come nutrire gli astronauti della Stazione spaziale internazionale e sostenere con tecnologie biorigenerative la permanenza dell’uomo oltre la bassa orbita terrestre.
«Le nostre ricerche – afferma Eugenio Benvenuto, responsabile del laboratorio Biotecnologie dell’Enea – mirano a favorire la sostenibilità dell’habitat delle stazioni spaziali grazie alla coltivazione di piante “tuttofare”, in grado di innescare un ciclo bio-rigenerativo di risorse vitali come acqua e ossigeno, di abbattere l’anidride carbonica e al tempo stesso di costituire un alimento sicuro per gli astronauti, ricco di molecole ad alto valore aggiunto».
«La ricerca agronomica – aggiunge Benvenuto – rende oggi possibile coltivare piante in luoghi estremi come la Stazione spaziale internazionale, grazie a colture “fuori suolo” o idroponiche, che non hanno bisogno di suolo per crescere ma solo di acqua e sostanze nutritive».
Le ricerche condotte nel Centro Enea della Casaccia nascono nell’ambito del progetto BIOxTREME, finanziato dall’Agenzia spaziale italiana, ed analizzano il potenziale delle piante sia come fonte di elementi antiossidanti che antimicrobici, capaci di rafforzare le difese immunitarie degli astronauti rispetto alle condizioni di vita imposte dalla permanenza nei moduli spaziali aggravate anche dalla proliferazione di microbi importati dalla Terra. Obiettivo è la costruzione di un «ideotipo» vegetale resistente alle condizioni extraterrestri, quali l’assenza di peso, le radiazioni cosmiche e i campi elettromagnetici. Da queste combinazioni genetiche potranno essere prodotte piante che accumulano grandi quantità di sostanze antiossidanti come le antocianine, le cosiddette «molecole-antidoto», utili contro l’invecchiamento e presenti in grandi quantità nei frutti di colore scuro.
Inoltre, sia le piante sia le radici, possono essere fonte di svariate tipologie di proteine con riconosciute attività farmacologiche. Sono infatti allo studio colture di radici che funzionano come bioreattori naturali in grado di sintetizzare molecole ad altissimo valore aggiunto come anticorpi, peptidi e immunostimolanti. Si tratta di molecole preziose, la cui sintesi è indotta da nuovi geni costruiti in laboratorio. Le radici così ottenute possono essere cresciute in condizioni controllate aggiungendo nel terreno di coltura sali, zucchero e vitamine.
Queste radici risultano resistenti ad alte dosi di radiazioni gamma e protoni dell’ordine di 10 gray e sono in grado di proliferare anche dopo dosi di irraggiamento che sarebbero letali per molti altri tipi di cellule. Le condizioni di stress accentuato e le eventuali alterazioni del metabolismo che ne derivano, vengono puntualmente analizzate nel loro complesso mediante tecniche molecolari avanzate che riescono a mettere in evidenza anche le minime variazioni significative.