L’andamento decrescente degli infortuni mortali denunciati nel 2014 ha segnato un -6,7% rispetto al 2013, ovvero 1.107 casi contro i 1.215 del 2013. I casi accertati sono 662 rispetto ai 710 del 2013, per oltre la metà accaduti fuori dall’azienda; in occasione di lavoro, infatti, sono stati 492, fra i quali 170 in itinere, 188 con mezzo di trasporto e 304 senza mezzo di trasporto
La tendenza alla diminuzione degli infortuni sul lavoro è confermata anche quest’anno, soprattutto per i casi mortali, che negli ultimi dieci anni sono scesi del 50%. In controtendenza, invece, le denunce di malattia professionale, che continuano ad aumentare. Questo è il quadro che emerge dalla «Relazione annuale 2014» dell’Inail, presentata alla Camera dei Deputati dal Presidente dell’istituto, Massimo De Felice.
L’andamento decrescente degli infortuni mortali denunciati nel 2014 ha segnato un -6,7% rispetto al 2013, ovvero 1.107 casi contro i 1.215 del 2013. I casi accertati sono 662 rispetto ai 710 del 2013, per oltre la metà accaduti fuori dall’azienda; in occasione di lavoro, infatti, sono stati 492, fra i quali 170 in itinere, 188 con mezzo di trasporto e 304 senza mezzo di trasporto. Negli ultimi dieci anni, dal 2004, gli incidenti mortali sono passati da 997 a 662, con una contrazione pari al 33,6%.
I settori più colpiti, quelli ad alta esposizioni a rischio infortunistico, sono l’industria, il terziario, l’artigianato e l’agricoltura. Industria e servizi contano 559 casi mortali, mentre l’agricoltura ne registra 95.
Questo dato ci conferma che cala il numero di morti sul lavoro ma comunque c’è poco di cui essere soddisfatti. Stiamo infatti sempre parlando di una strage che vede una media di due vittime al giorno. E oltre a questa constatazione anche la presa di coscienza che, come l’inflazione bassa, anche questo dato è uno dei tanti indici che testimoniano la crisi in quanto si lavora meno e quindi si muore meno.
Tutto questo poi senza pensare al fatto che molti lavoratori non sono coperti dall’Inail ma da altri sistemi assicurativi e che molti non sono coperti affatto perché lavorano in nero. E in questo caso la recessione economica non fa che nascondere il numero degli infortuni mortali che passano dal lavoro regolare a quello sommerso.
Giuliano Poletti, ministro del Lavoro, ha detto: «fino a quando avremo anche un solo incidente, un infortunio, un elemento di criticità, avremo qualcosa da fare, non possiamo vincere la sfida della sicurezza sul lavoro senza una cultura della sicurezza. L’innalzamento dell’età lavorativa e il precariato pongono nuovi interrogativi sul tema salute e della sicurezza e avere persone che entrano ed escono da un’impresa ogni tre, ogni sei o ogni 12 mesi espone quelle persone e quell’impresa a dei rischi».
Il problema, quello delle morti sul lavoro alla vigilia di una tragedia avvenuta nella provincia di Bari in cui hanno perso la vita ben 10 lavoratori in un’azienda che confeziona fuochi d’artificio. Tragedie che costringono, dopo la rabbia iniziale, a porsi delle domande e a cercare delle soluzioni che in un periodo di crisi è difficile trovare in quelle aziende dove, sicuramente per una mancanza di cultura in argomento prevenzione, vengono di fatto tagliati proprio i fondi per la sicurezza e la tutela dell’ambiente.