L’incidente di Three Miles Island fu il caso premonitore ed in qualche modo anticipatore di una serie di episodi che pongono una serissima ipoteca sulla possibile proliferazione all’interno di uno standard internazionale condiviso.
Sono le 4 di mattina del 28 marzo 1979 a Three Miles Island (Pennsylvania). E qualcosa nel reattore dell’unità 2 della centrale nucleare non funziona. Quel qualcosa darà inizio all’incidente nucleare più grande nella storia degli Stati Uniti, tristemente ricordato insieme a quello di Chernobyl, e in tempi più recenti a quello di Fukushima. A causarlo fu un malfunzionamento dell’impianto, insieme all’errore umano degli operatori impegnati alla centrale. Gli eventi che scatenarono il disastro, in breve, furono questi: una valvola che avrebbe dovuto chiudersi restò invece aperta; il circuito refrigerante controllato dalla stessa valvola cominciò a svuotarsi, e il core del reattore a surriscaldarsi. Gli operatori, ignari del malfunzionamento della valvola, che il sistema segnalava come chiusa, peggiorarono la situazione riducendo il flusso di refrigerante dei sistemi di emergenza. La conseguenza fu un ulteriore surriscaldamento e la parziale fusione del nucleo. Fortunatamente gran parte dei danni furono confinati, i sistemi protettivi del reattore 2 rimasero intatti, riuscendo a contenere buona parte del materiale radioattivo.
Quell’episodio scatenò la «sindrome cinese»: gli Usa per oltre trent’anni non avrebbero approvato la realizzazione di nuove centrali nucleari.
In particolare, immediatamente dopo l’incidente tragico di Chernobyl, il più grave incidente della storia verificatosi in una centrale nucleare, venne annunciata la possibilità di una nuova via di sfruttamento dell’energia atomica ovvero attraverso reazioni a basso impatto energetico.