La «rivoluzione» energetica

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Oggi, al di là delle atrocità del «califfato» islamico, che monopolizzano l’attenzione non solo dei media, altri gravi rischi si sprigionano dal vaso di Pandora delle iniquità sociali, dei milioni di disperati migranti e della spoliazione della natura e delle sue risorse operata dall’uomo. In molti ormai sanno le risposte da dare, nuovi profeti della penultim’ora ce le raccontano dalle colonne dei giornali. Le diagnosi e l’elencazione degli interventi possibili non fanno però le soluzioni; di mezzo c’è la complessità delle società, i rapporti di forza tra le classi, la concentrazione dei poteri e la loro dinamica.

È sicuramente più di un barlume la prospettiva dei tre 20% al 2020 che si estende dalla Ue a tutti i Paesi del mondo. È nota la difficoltà di una trattativa mondiale che non ha precedenti di livello comparabile, tra Paesi che hanno interessi diversi e, come nel caso degli Stati Uniti una riluttanza, storica, ad accordi politici multilaterali.
È vero che alla Conferenza delle Parti di Durban del 2011 (CoP 17) un accordo globale è stato rimandato al 2015 e che, per di più, richiederebbe ai Paesi più forti di allargare di molto (almeno 100 miliardi di dollari all’anno) il modesto budget previsto a Cancún (CoP 16); ma è anche vero che gli obiettivi Ue per la mitigazione degli effetti del global warming sono divenuti il centro del dibattito e un punto di riferimento per i Governi di tutto il mondo, e non è infondata la speranza che la Conferenza delle Parti prevista a Parigi per dicembre di quest’anno, CoP 21, abbia un esito positivo con l’assunzione di ben determinati impegni.
La speranza si alimenta di quel 19%, il dato di copertura dei consumi già conseguito al livello mondiale dalle fonti rinnovabili, dei buoni risultati ottenuti dalla Ue rispetto ai tre 20%, degli accordi bilaterali (fra Stati Uniti e Cina, fra Russia e Cina) che sono proceduti in questi anni e del recentissimo impegno assunto dall’amministrazione degli Stati Uniti di ridurre del 32% le emissioni carboniose entro il 2030 (anche se solo rispetto al 2005).
È una vera e propria «rivoluzione» energetica, il primo grande passo per abbandonare l’attuale modello ad alta concentrazione d’energia, responsabile della più grave delle crisi che dobbiamo fronteggiare, quella del clima, per fonti energetiche diffuse nel territorio e più controllabili e accessibili ai cittadini, come dimostrano anche le interessanti esperienze in corso di autogestione.
Ed è anche il primo necessario passo verso una più generale trasformazione che affronti accanto alla crisi ecologica quella economica, tentando di ridurre le colossali distorsioni economico-sociali e le inaccettabili ingiustizie alimentate dal dominio di una finanza senza regole e centrate sui parametri quantitativi del potere.
In generale, un passaggio «dalla quantità alla qualità», che configura una tutt’altro che scontata evoluzione del capitalismo verso modelli di produzione e di società più aperti alle esigenze di partecipazione dei cittadini, meno predatori e più attenti alle risorse della natura e ai suoi cicli. Il primo grande progetto «universalista», per mitigare fortemente l’insostenibile modello economico-sociale dominante, che ha prodotto le due crisi: quella ecologica e quella economica.
Sembra quasi echeggiare lo spirito che subito dopo il secondo conflitto mondiale ispirò nelle Nazioni unite i principii della «carta di San Francisco» sui diritti dell’uomo. E la recente enciclica «Laudato si’», nel capitolo dedicato a «La radice umana della crisi ecologica», assegna agli uomini proprio il compito di una coraggiosa rivoluzione culturale, da compiere nel contesto di quella che ormai da un quarto di secolo il movimento ambientalista ha proposto come conversione ecologica dell’economia e della società.

Conclusione

Il nucleare dopo Fukushima è finito. Il permanere di una crisi economica, che contagia ormai anche il gigante Cina, rende ancora più improbabili grandi stanziamenti pubblici, senza dei quali non esistono centrali nucleari, a favore di una tecnologia complessa ma «più vecchia dei transistor» (già, chi era costui?) e con irrisolti problemi: oggi, anche per l’Italia (5), risuona quello della gestione delle scorie con tempi di dimezzamento di decine di migliaia quando non di milioni di anni.
Proprio il dramma di Fukushima mostra il mito di Prometeo sempre più come un portato arcaico della cultura umana, forse in procinto di sgretolarsi e frantumarsi. Sarà anche intrinseco all’avventurosa escalation accennata all’inizio, quel procedere della conoscenza umana secondo il metodo «trial and error»; ma si dovrà chiedere più sapere e consapevolezza sui trial, e una riduzione degli error sempre maggiore: scienza e tecnologia si impegnino, questo è oggi un obiettivo possibile. Siamo forse alle soglie del superare l’angosciosa profezia di Einstein, che vedeva nell’era atomica che si era appena aperta il preludio di una «catastrofe senza fine»; perché è sempre più chiaro che la risposta alla più grave crisi che ci minaccia, quella dei cambiamenti climatici, è proprio nel passaggio dall’era atomica all’era solare.

 

Massimo Scalia, professore di Fisica Matematica al Dipartimento di Matematica dell’Università La Sapienza di Roma