Dal 2000 si è dato via ad una nuova fase di sviluppo con il lavoro dei ricercatori giapponesi Ohmori e Tadahiko Mizuno: le loro ricerche hanno infatti consentito di raggiungere una stabilità tale da consentire la riproducibilità senza utilizzare il costoso e raro elettrodo in palladio né l’acqua pesante (D2O), ma solo attraverso una particolare elettrolisi realizzata con elettrodi di tungsteno, sommersi in una soluzione di comune acqua (H2O) e Carbonato di potassio (K2CO3).
Gli elettrodi immersi nel liquido conducevano una corrente elettrica con differenza di potenziale molto bassa e contenuta tra i 160 ed i 300 V.
A tali condizioni, quando la temperatura della soluzione supera i 70-80 °C, intorno alla parte immersa dell’elettrodo di tungsteno si ottiene la formazione di una bolla di plasma, che porta rapidamente all’ebollizione dell’elettrolita.
Con la comparsa del plasma si innesca un processo che può produrre un bilancio energetico positivo, composto da una emissione in forma termica dal 20-100% superiore all’energia elettrica spesa per sostenere la reazione, più una certa quantità di idrogeno gassoso.
Essendo il protocollo sperimentale assai semplice ed alla portata di qualsiasi laboratorio di elettrochimica, immediatamente parecchi ricercatori pubblici e privati eseguirono moltissime repliche dell’esperimento: quasi che si potesse veramente dire abbattuta una frontiera per l’umanità dando il via all’accesso praticamente illimitato all’energia termica a bassissimo impatto ed a costo bassissimo.
Ma quello che sembrava un risultato di fatto conseguito si scontrò e si scontra ancora con difficoltà scientifiche importanti.
Le misurazioni di assorbimento, necessarie per determinare l’efficienza complessiva, sono per loro natura affette da un notevole rumore elettrico dovuto alla presenza della scarica di plasma; ciò può causare serie difficoltà di rilevamento e quindi incrinare la certezza di aver determinato l’effettiva quantità di corrente assorbita dalla cella; per questo, diversi autori, hanno utilizzato contemporaneamente vari metodi di misura dell’assorbimento elettrico, in modo da verificare la reale convergenza delle misure.
Attualmente il principale problema di questo tipo di processo è l’elevata temperatura che raggiunge l’elettrodo di tungsteno, sicuramente superiore ai 3.422 °C, che implica il raggiungimento del punto di fusione e quindi lo scioglimento dell’elettrodo nella soluzione.
A queste condizioni, per una cella con un assorbimento medio di 200-500W, vi è un consumo di qualche cm di elettrodo per ogni ora di funzionamento, il che rende il processo energeticamente non conveniente nel suo complesso.
Un secondo problema, non meno importante, è la presunta deposizione, sia in soluzione sia sull’elettrodo di tungsteno, di atomi di elementi prima non presenti nella soluzione nel metallo, ma comunque prossimi al tungsteno nella tavola periodica, inducendo quindi vari autori ad ipotizzare che sulla superficie dell’elettrodo di tungsteno possano avvenire processi di trasmutazione.
Sulla possibilità di fusione a bassa energia furono pubblicati quindi numerosi studi e modelli teorici tra i quali si pongono in piena evidenza quelli di Giuliano Preparata, docente di Fisica Nucleare all’Università di Milano intorno a cui si strinse ed in parte ancora agisce, un gruppo di scienziati di livello internazionale tra cui Vincenzo Valenzi (nella foto in basso, N.d.R.).
Tra i tentativi più recenti, nel maggio 2008 Yoshiaki Arata, uno dei padri della fusione nucleare calda nipponica, insieme alla collega Yue-Chang Zhang, ha mostrato pubblicamente ad Osaka un reattore funzionante con pochi grammi di palladio, ma anche in questo caso l’esperimento non è più stato ripetuto e i risultati non sono stati pubblicati in un lavoro scientifico.
Intorno alle difficoltà inattese createsi sulla ricerca apertasi dall’ipotesi di «Fusione Fredda» si pone ancora una volta l’ombra dell’appropriazione militare.
Non vi sono dubbi sulla concretezza dei fenomeni Lern come non vi sono dubbi sulla natura mistificante di molti attacchi mediatici ai loro pionieri e ricercatori: già nel febbraio del 2002, un laboratorio della marina degli Stati Uniti rilasciò un memorandum comprensivo di un accurato lavoro scientifico nel quale veniva confermato il fenomeno della fusione fredda come concreto. Si tratta di un rapporto di 132 pagine che cerca di fare il punto sullo stato delle ricerche sulla fusione fredda eseguite dalla U.S. Navy dal 1989 al 2002.
Gli esperimenti svolti sono stati descritti in dettaglio nel capitolo 3 (pp. 19) del rapporto dal titolo «Excess heat and helium production in palladium and palladium alloys»: in esso sono riportate le analisi calorimetriche svolte nel 19891 che rilevano nei vari esperimenti condotti un evidente eccesso di calore e la produzione di 4He come conseguenza di presumibili effetti di natura nucleare all’interno della cella. Nel 1992 sono stati fatti esperimenti con leghe di palladio-boro (Pd-B) che, con sorpresa degli stessi ricercatori, hanno dato tutti esito positivo (pp. 21).
Nel 1995 l’esperimento è stato poi riprodotto in Giappone con gli stessi risultati.
I fenomeni Lern sono sicuramente interessanti per i vantaggi che sembrano offrire all’ipotesi di uno sfruttamento industriale per la produzione di energia, soprattutto termica ma rappresentano un’ipotesi di disponibilità tecnologica troppo prossima alla sua trasformazione per usi bellici.
I Lern al plasma, la facile creazione di Elio, le emissioni di raggi gamma ed altri fenomeni caratterizzanti questi processi richiedono ancora un’evoluzione teorica forse non ancora prodotta o disponibile in ambito civile.
L’energia del nucleo è una prateria minata.
Molto più probabilmente la finalità perseguita da iniziative ancora volta allo sfruttamento diffuso e destrutturato dei Lern, come ad esempio quella rappresentata dei prototipi E-Cat2, va spostata nel campo meno energeticamente pericoloso della scissione molecolare.
La produzione di energia termica sia in forma di calorie sia frigorie è infatti praticabile sfruttando reazioni chimiche endotermiche e/o esotermiche con impatti limitati e limitati mezzi, soprattutto economici, da dedicare alla ricerca.
In questo campo esistono numerosi fenomeni naturali che possono offrire piste di studio ed applicazione decisamente interessanti come ad esempio quelli sviluppati dalla ricerca sui fulmini e sulla cavitazione.
La dissociazione molecolare per plasma freddo o la generazione termica per cavitazione sono infatti fenomeni naturali che indicano una sorta di ipotesi Eco-Compatibile allo sviluppo scientifico.
Lo studio e la replica di fenomeni naturali pone sulla via dello sviluppo scientifico una nuova forma di sodalizio delle conoscenze e dei campi di ricerca. Oggi, credo sia più che mai attuale un’alleanza tra biologi, medici e chimici al fine di rendere replicabili e disponibili allo sfruttamento diffuso sistemi di produzione energetica, soprattutto termica, basati su processi naturali, segnando in questo modo una nuova direzione più lontana dai laboratori sotterranei e svincolata dalle applicazioni militari.
Il grafene, ha notevoli proprietà ottiche ed elettroniche che lo rendono particolarmente adatto per la realizzazione di dispositivi, come per esempio sensori fotoelettrici e celle solari, più efficienti di quelli attualmente in commercio.
La soluzione offerta dall’associazione del Grafene (spontaneamente conduttivo) e la Clorofilla (spontaneamente fotosensibile) è un esempio di contaminazione bio-fisica utile alla crescita delle performance tecnologiche.
L’innovativa soluzione crea un prodotto che è in grado di assorbire i fotoni in un ampio intervallo di frequenza e perché «trasporta» gli elettroni ad alta velocità: per il suo limite di scarsa sensibilità alla luce il grafene è stato associato a materiali di diverso tipo che consentissero ai dispositivi di assorbire la luce in modo più efficace.
Nessuno fino a questo momento aveva però pensato alla clorofilla ovvero al pigmento presente nelle cellule vegetali in grado di convertire l’energia solare in energia chimica.
La natura stessa ci ha fornito uno dei «materiali» più efficienti nell’assorbimento della luce ma per decenni, nei laboratori di ricerca tradizionale si è cercato di riprodurre artificialmente le straordinarie capacità della clorofilla, senza successo.
Ecco che oggi, mutando la sensibilità dell’approccio ricercatori hanno allora cominciato a pensare di utilizzare direttamente il pigmento naturale nei loro studi: economico, non tossico, ampiamente diffuso.
Il vero obiettivo oggi deve essere, probabilmente, l’accessibilità democratica e quindi diffusa all’energia ad impatto tendente a zero.
Il vero rischio oggi è la mistificazione mediatica.
La vera vittoria è la diffusione di applicazioni in grado di dare energia a basso costo.
1 Con tolleranze dell’ordine del 4%
2 Dopo la pubblicazione del Lugano Report, relazione predisposta da terze parti indipendenti sul funzionamento dell’E-Cat di Andrea Rossi, in diversi han già tentato di replicare il reattore inventato da Andrea Rossi, con esiti più o meno positivi. Tra gli altri, il più famoso sinora sembra essere quello fatto dal fisico russo Alexander G. Parkohomov, che lo scorso dicembre ha dichiarato di aver replicato l’Hot Cat. Nelle ultime ore, grazie anche al prezioso contributo di E-Cat World, abbiamo avuto un’ulteriore conferma che anche il governo cinese non stia trascurando il settore Lenr, e sembra che una delle principali organizzazioni di ricerca cinesi ci si stia dedicando. Al momento non sono ancora molto chiare ed ufficiali.