Il processo che avviene nei rettori nucleari procede spontaneamente ad opera di un aumento continuo di neutroni che generano collisioni efficaci ad attivare la trasmutazione degli atomi fissile (seguendo un meccanismo a catena che produce quantità sempre maggiori di altri neutroni e quindi di collisioni efficaci). Ciò comporta che la fissione nucleare, se innescata, diventi un evento spontaneo e rapido. In presenza del solo processo di trasmutazione e in un sistema chiuso come può essere quello di un reattore, più collisioni producono più energia e più energia produce più collisioni. In assenza di un sistema di controllo della trasmutazione, il processo arriverà fino ad una temperatura, oltre la quale avviene la fusione del sistema esposto direttamente a questa trasformazione, con il conseguente rilascio incontrollabile di materiale radioattivo, la sua immissione in aria ambiente e la sua dispersione sul suolo e nelle acque. Una attività che proseguirà, generando elevate condizioni di nocività nel corso dei suoi lunghissimi processi almeno fino all’esaurimento del materiale fissile.
Sul nucleare usato negli impianti, sappiamo solo che la trasmutazione dell’Uranio235, produce alla fine calore e che, in particolare, ogni atomo di Uranio235, colpito da un neutrone, ricombina le sue particelle subatomiche e dà origine (oltre a minori quantità di altre particelle) soprattutto a due nuovi atomi, lo Stronzio94 e lo Xenon140 e genera 2 nuovi neutroni. Il numero dei neutroni nel corso della trasmutazione andranno, così, sempre aumentando. Seguendo un processo a catena, questi 2 neutroni colpiranno altri 2 atomi di Uranio235 e genereranno 4 nuovi neutroni e così via ogni volta raddoppiando il numero di neutroni di volta in volta prodotti. È immediato immaginare quanto questa trasmutazione sia spontaneamente rapida per la crescita esponenziale delle collisioni (efficaci a cambiare la struttura atomica dell’Uranio235 e a rilasciare sempre maggiori quantità di calore). La velocità della trasmutazione (cioè la quantità di Uranio235 che, nell’unità di tempo, si ricombina per formare nuovi tipi di atomi) crescerà fino ad arrivare ad una produzione massima di neutroni determinata dalla quantità di Uranio235.
Il fenomeno se giunge in questo stadio estremo, arriva a temperature dell’ordine delle migliaia di gradi (sufficienti, quindi, per far fondere il reattore e generare un processo terminale incontrollabile di fusione della sua carica di materiale fissile e di rilascio di sostanze radioattive in intorni molto ampi all’esterno dell’impianto). La trasmutazione durerà nel tempo fino ad esaurimento dei suoi elementi fissili e, quindi, se non vi sono (e ancora non vi sono) sistemi di contenimento efficaci, continuerà a produrre gas, fumi e materiali solidi radioattivi e a immetterli nell’ambiente.
Il nucleare fondamentalmente è costruito intorno ad un equilibrio fisico, instabile e non definito, che come tale espone ad elevati rischi i contesti produttivi, sociali e naturali di territori molto vasti e con impatti negativi anche globali. In caso di incidente, una centrale nucleare non interrompe spontaneamente le proprie attività, come avviene in una centrale termica tradizionale (nella quale il ciclo si ferma per interruzione dell’alimentazione dei motori o per rottura dei meccanismi che generano l’energia elettrica). Una centrale tradizionale non ha, neanche, i problemi qualitativi e quantitativi del fallout nucleare e tantomeno di tossicità estrema e letale per le sostanze immesse nell’ambiente.
Per una centrale nucleare, invece, in caso di allarme, deve essere attivata tutta una complessa procedura per evitare che il processo di trasmutazione prosegua fuori dal controllo delle sue condizioni critiche e arrivi spontaneamente all’ingestibile fusione del nocciolo del reattore (con tutte le conseguenze sull’impianto, protratte in lunghi tempi, e con impatti, sull’ambiente e sugli esseri viventi, che distruggono la vita economica e sociale di intere regioni).
A Chernobyl è stato costruito un sarcofago gigantesco che ora, però, non riesce più a mitigare le immissioni di materiale radioattivo in aria ambiente e quindi dovrebbe essere a sua volta ricoperto da un nuovo e più grande sarcofago: un’opera che (a parte i costi e un’efficacia ancora precaria) avrebbe dell’incredibile da vantare. Ma questo non è tutto, perché nel sottosuolo dell’impianto continua ancora la fusione del nocciolo (tutto il resto del reattore è andato distrutto) con il conseguente inquinamento delle eventuali falde acquifere. A Fukushima, invece, si tenta di trattenere gas e fumi con acqua che viene precipitata sui fumi e sui gas, poi filtrata e immessa nuovamente in circolo (almeno in parte, mentre una quota non controllabile finisce dispersa nell’ambiente). Per evitare l’immissione in mare, delle acque usate per contenere le dispersioni di residui solidi radioattivi, invece, non si può fare niente (il divieto di pesca non può essere certo definita come una soluzione). Ma anche le resine scambiatrici non sono un sistema adeguato per filtrare la grande quantità di acqua inquinata prodotta e contenente residui radioattivi. Per cercare di porre rimedio, si sta, ora, pensando di mantenere attiva un’incredibile lastra di ghiaccio artificiale di circa 1,5 km che faccia da barriera invalicabile per il materiale radioattivo contenuto nei fluidi che fuoriescono dalla zona di fusione, ancora attiva, del nocciolo, e che ne impedisca la sua diffusione in mare.
C’è da chiedersi, allora, quanto costa questo nucleare, chi paga tutto questo, quale rapporto fra energia prodotta da questi impianti e quella spesa per tenerli in funzione e, poi, per dismetterli e, ora, per recuperare i danni dei forti e totali impatti generati sulle persone e sull’ambiente che dureranno per un lunghissimo periodo di tempo?
[vedi anche: Linguaggi nucleari, Il vero e il falso sul nucleare 1) l’equivoco del termine «reazione», in Parole nuove per l’ambiente, «Villaggio Globale», anno XIV, n.54, giugno 2011].
Non disponiamo quindi di conoscenze su meccanismi e processi deterministici, che permettano di controllare la trasmutazione, disponiamo, invece, solo di racconti già confezionati e finalizzati ad avvalorare l’idea di una sostenibilità e sicurezza (per la salute umana e per l’ambiente) degli impianti nucleari, sulla base di valutazioni teoriche e di sistemi di controllo e prevenzione (che in realtà perseguono solo una generica strategia di sorveglianza ridondante di un processo non definito nei suoi dettagli essenziali per il contenimento di eventi indeterminabili).
[vedi anche: Linguaggi nucleari, La questione nucleare, in Parole nuove per l’ambiente, «Villaggio Globale», anno XIV, n. 54, giugno 2011].