Le convinzioni sull’assoluto e le mancate riflessioni sulla condizione umana

472
Tempo di lettura: 3 minuti

Si richiede, spesso, ai responsabili dei vari settori (che provvedono alla gestione dei servizi di una città o di un intero paese), di operare nel campo delle cose concrete, di operare per un interesse generale (che si immagina condiviso o che si vorrebbe imporre come tale); si richiede anche di recuperare energie necessarie per dare forza a decisioni operative, per valorizzare la nostra determinazione a fare le cose, per non perdere tempo e risorse necessarie, per trasformare la volontà umana in opportunità operative. Si dimenticano, invece, o si affidano ad un insulso senso comune, le energie e le potenzialità del pensiero umano interpretate come origine delle debolezze del pensiero umano, contrapposto alla potenza dei principi assoluti. In realtà la «debolezza» del saper pensare umano, contrapposto ai convincimenti assoluti, è il punto di forza della nostra capacità di interrogarci sul senso delle cose, sulla dimensione delle scelte e delle sue conseguenze. È una debolezza che ci interroga anche di fronte ad un’inconfutabile evidenza sperimentale e che rende la ricerca scientifica in ogni campo, un’attività di scoperta continua perché le cose del mondo che percepiamo non sono sempre come ci appaiono, non sono sempre le stesse.

La dinamica del divenire della realtà, dovrebbe indurci verso la ricerca di una verità che è nel nostro vivere nella storia e che, dunque, è sempre da ridefinire e da arricchire con le riflessioni sulle esperienze personali e condivise con i propri simili. La debolezza è, quindi, una qualità umana, pur se contiene (per la libertà della quale gode l’uomo nel decidere le cose) anche il rischio che sia vissuta o culturalmente imposta come sintomo di incapacità e che possa innescare immotivate, incontrollabili e distruttive sofferenze.
In realtà se non disponessimo o se rimuovessimo le «debolezze» del nostro saper pensare, i nostri comportamenti sarebbero solo quelli istintivi e assoluti dell’autodifesa, quelli dell’attaccare per primi per evitare eventuali attacchi di altri, quelli della presunzione del possesso della verità, della lotta per la sopravvivenza, del successo del più forte o del più furbo, dell’esercizio di un potere. Detto in altre parole, c’è il pericolo, per gli esseri umani, di trovarsi impegnati, almeno con i propri comportamenti, a negare la propria condizione umana in nome di un’interpretazione granitica e suggestiva delle proprie convinzioni, ma riduttiva rispetto alle dimensioni del senso della propria vita. È così che diventa un ideale, il mito dell’uomo forte e vincente. Un mito che resiste anche quando dovesse diventare impossibile negarne le contraddizioni e si dovesse scoprirne l’inaffidabilità, nei fatti della nostra realtà.
Uomini forti e vincenti che vorrebbero predominare su tutte le altre specie animali e sui propri simili e che si impegnano come predatori nei meccanismi preda-predatore che, già nei nomi degli attori di questa realtà, presentano lo scenario del loro diverso destino. Il meccanismo preda-predatore, è qui richiamato come condizione specifica ed essenziale, per definire ruoli e funzioni umane, in un contesto di rapporti di forza ispirato dall’ideologia liberista: di fatto una visione della vita che finisce col richiamare comportamenti e mentalità istintive di lotta, ma che arriva anche a giustificare persecuzioni improprie e strumentali ad altri fini, presentate però come analoghe alla competizione naturale preda-predatore.
Senza la debolezza del nostro pensare, potremmo essere indotti a immaginare di essere o di poter diventare creatori e regolatori dei processi vitali. In realtà noi possiamo, invece, solo utilizzare ciò che, da questi processi ne deriva (proprio per la debolezza dei nostri pensieri e per i conseguenti dubbi) e che ci stimola a ricercare e interpretare i fenomeni. Solo così possiamo collaborare con la Natura con la sua missione di dare sempre maggiore diversità e qualità alle sue espressioni vitali naturali (quelle dell’uomo comprese). La debolezza dei nostri pensieri è un elemento di base, della nostra condizione umana. Senza di essa diventa impossibile ogni rapporto con il mondo che non sia quello meccanico dell’occupazione, del possesso, dell’arbitraria e totale disponibilità personale delle risorse sottratte a tutti gli altri, alle future generazioni in particolare.
Una collaborazione virtuosa che ci permette di andare anche oltre la ricerca giornaliera del cibo e di un luogo di ricovero per la notte (anche se poi le tecnologie, permettono di andare oltre le necessità e di costruire invadenti strumenti per poter fare tutto ciò che arbitrariamente decidiamo di imporre ad un territorio e ai suoi abitanti, ad una organizzazione sociale, ad una gestione economica delle risorse e della nostra capacità di gestirle in modo razionale e con tecnologie in sintonia con i processi naturali.

[vedi anche: Cambiamento fra risorse naturali e senso umano delle cose,  in Il controllo dell’energia, «Villaggio Globale» anno XVIII, n. 69, marzo 2015].

I dati di realtà, i confronti e le riflessioni che non possono mancare