Etiopia, la Gran Bretagna nasconde soprusi e violazioni

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foto © Survival
I rapporti delle due missioni effettuate dai donatori nella bassa valle dell'Omo rivelano che il land grabbing nega alle tribù l'accesso alle rive del fiume, di cui hanno bisogno per le loro coltivazioni.
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Si è cercato disperatamente di «impedire che l’opinione pubblica britannica leggesse i rapporti, e questo mostra fino a che punto è in grado di spingersi per coprire le gravi violazioni dei diritti umani commesse da un regime che riceve centinaia di milioni di sterline dai contribuenti britannici. Mentre intere tribù subiscono violenze, vedono distruggere le loro case e i loro mezzi di sussistenza e vengono derubate delle loro terre a livelli scioccanti, il governo britannico chiude un occhio nel nome delle convenienze politiche ed economiche»

Per compiacere il governo etiope, il governo britannico ha cercato di nascondere le prove delle gravi violazioni dei diritti umani in corso nel paese. È quanto rivela una nuova indagine del movimento mondiale per i diritti dei popoli indigeni Survival International.

Nell’agosto 2014, i principali donatori di aiuti all’Etiopia (tra cui il Dipartimento britannico per lo Sviluppo Internazionale (Dfid), l’Usaid, l’Unione europea e l’Italia) avevano inviato due missioni nella bassa valle dell’Omo per verificare se le tribù dell’area fossero state realmente costrette a lasciare le loro terre per far spazio alle piantagioni industriali.
Nonostante gli obblighi imposti dal Freedom of Information Act, le autorità britanniche si sono tuttavia rifiutate di rendere pubblici i due rapporti sostenendo che la loro divulgazione avrebbe pregiudicato in maniera significativa le relazioni internazionali. Survival, che ne aveva fatto richiesta, si è quindi appellata alla Commissione europea, che li ha finalmente messi a disposizione.

I due rapporti rivelano:
– che il governo etiope non ha ottenuto il consenso delle tribù della bassa valle dell’Omo al reinsediamento;
– che per costringere le tribù ad abbandonare le loro terre, il governo è ricorso a pressioni e minacce, facendole in alcuni casi anche temere per le loro vite;
– che un gruppo indigeno ha detto ai donatori, «Prima che possiate tornare l’anno prossimo, il governo verrà a ucciderci e a finirci»;
– che l’accaparramento di terra associato alle piantagioni su larga scala impedisce alle tribù di accedere ai pascoli e alle terre d’allevamento ancestrali da cui dipendono per sopravvivere, e alle rive dei fiumi di cui hanno bisogno per coltivare;
– che in merito alle condizioni di vita in uno dei villaggi di reinsediamento visitati, il rapporto afferma: «La loro situazione durante la nostra visita era deplorevole; a causa dell’assenza di servizi igienici, gli abitanti dei villaggi soffrono di malattie come diarrea emorragica, malaria e mal di testa aspecifici… Nonostante le terribili circostanze riscontrate a “X” [nome del villaggio cancellato], i residenti affermano che il governo non permette a questo gruppo impoverito e vulnerabile di andarsene»;
– che le linee guida definite dagli enti donatori per garantire che il reinsediamento rispetti la legge internazionale sono state regolarmente ignorate.

Da tempo Survival International sollecita i donatori a sospendere ulteriori aiuti alla bassa valle dell’Omo fino a quando le violazioni dei diritti umani non saranno state fermate, ma finora non è stata intrapresa praticamente nessuna azione. Il budget di aiuti del Regno Unito all’Etiopia per il 2014-2015 supera i 360 milioni di sterline (489 milioni di euro). Lo scorso anno, la Cooperazione italiana ha riconfermato l’Etiopia come uno dei paesi prioritari per il triennio 2013-2015, con un raddoppio dei fondi stanziati rispetto al triennio precedente (e pari a quasi 100 milioni di euro).

«Ci sono voluti quasi due anni perché il Dfid indagasse sulle gravi accuse di violazioni dei diritti umani nella bassa valle dell’Omo – ha dichiarato oggi Elizabeth Hunter, responsabile delle campagne in Africa di Survival -. Il Dfid ha cercato disperatamente di impedire che l’opinione pubblica britannica leggesse i rapporti, e questo mostra fino a che punto è in grado di spingersi per coprire le gravi violazioni dei diritti umani commesse da un regime che riceve centinaia di milioni di sterline dai contribuenti britannici. Mentre intere tribù subiscono violenze, vedono distruggere le loro case e i loro mezzi di sussistenza e vengono derubate delle loro terre a livelli scioccanti, il governo britannico chiude un occhio nel nome delle convenienze politiche ed economiche».

Nella bassa valle dell’Omo vivono circa 200.000 indigeni. Molti hanno subito repressioni brutali e reinsediamenti forzati. Sono anche vittima di razzismo da parte di un governo che li considera «arretrati» e bisognosi di «modernizzazione». Secondo un esperto, la perdita della terra e delle risorse provocherà una «catastrofe umanitaria» tra le tribù, e uno dei rapporti stilati a seguito della missione denuncia che è probabile che l’afflusso di più di 500.000 operai nell’area «conduca a un significativo aumento del rischio di conflitti».

Nella lettera ufficiale inviata al governo etiope, e pubblicata nel febbraio scorso, i donatori hanno omesso i risultati più importanti delle loro missioni sul campo. La lettera ammorbidisce le conclusioni dei rapporti a tal punto che la stampa etiope ha potuto scrivere che le missioni dei donatori «non hanno trovato prove di persone costrette ad andarsene per essere reinsediate o per [far spazio] ai progetti agricoli nelle aree che hanno visitato», e che non hanno «riscontrato nessuno dei problemi di cui parlano Survival International, Human Rights Watch e altri…».
Nel marzo 2015 Survival ha ricevuto rapporti preoccupanti secondo cui gran parte della piccola tribù dei Kwegu è già ridotta alla fame a causa della distruzione della foresta e della morte del loro fiume, seguiti alla costruzione della diga Gibe III e ai progetti di irrigazione ad essa collegati.

– I rapporti completi stilati dopo le visite dei donatori a Bench Maji e South Omo.
– I principali donatori all’Etiopia sono riuniti nel Dag, (Development Assistance Group), che comprende 26 agenzie di sviluppo bilaterali e multilaterali. L’Italia vi partecipa attivamente, ricoprendo anche il ruolo di Presidenza in diversi tavoli di lavoro. Il Comitato Esecutivo del Dag è composto da: Italia, Uk, Usa, Canada, Banca Mondiale, Ue, Undp.