Gli attivisti di Greenpeace Brasile hanno risposto alla richiesta di aiuto del popolo indigeno dei Ka’apor e stanno lavorando al loro fianco per monitorare e proteggere dalla deforestazione illegale le terre della riserva indigena dell’Alto Turiaçu nello stato di Maranhão
La scorsa settimana gli attivisti di Greenpeace hanno affiancato i Ka’apor in un accurato lavoro di mappatura della foresta, installando telecamere dotate di sensori termici e di movimento per documentare la sistematica e illegittima invasione della riserva perpetrata dalla mafia del legno. I Ka’apor potranno inoltre disporre di GPS per monitorare il passaggio dei camion usati dai taglialegna per attraversare le aree forestali dell’Alto Turiaçu.
«Abbiamo deciso di intervenire perché la foresta è la nostra casa. La foresta ci assicura la vita stessa. Senza la foresta, noi non saremmo i Ka’apor: il nostro nome significa infatti “Abitanti della foresta”. Per questo dobbiamo difenderla a ogni costo», afferma uno dei leader della comunità Ka’apor, che ha chiesto di restare anonimo per motivi di sicurezza.
Il Territorio indigeno dell’Alto Turiaçu è uno degli ultimi tratti di foresta amazzonica nello stato del Maranhão, ma è sempre più vulnerabile a causa delle invasioni dei taglialegna e dei cacciatori. Secondo i dati ufficiali del Degrad (il sistema di mappatura dell’Istituto nazionale di Ricerca Spaziale che misura il degrado delle foreste in Amazzonia), tra il 2007 e il 2013 ben 5.733 ettari di foresta dell’Alto Turiaçu hanno subito un serio degrado per colpa della deforestazione illegale. Alla fine del 2014, l’8 per cento della foresta all’interno del terre indigene (circa 41mila ettari) risultava disboscato.
La mafia del legno si fa strada nei territori indigeni alla ricerca di specie di legno pregiate come l’Ipé, che una volta lavorato ed esportato può essere venduto a un prezzo che arriva a 1.300 euro per metro cubo. Dal 2008 i Ka’apor chiedono pubblicamente al governo brasiliano di prendere provvedimenti contro queste attività illegali che sono spesso causa di violenze e perfino di omicidi.
Secondo i dati del Consiglio missionario indigeno (Cimi), negli ultimi quattro anni sono stati uccisi quattro Ka’apor, mentre quindici leader hanno subito attacchi violenti. L’ultimo omicidio è avvenuto lo scorso 26 aprile, quando è stato assassinato Eusébio Ka’apor, uno dei leader più attivi nella lotta contro la deforestazione. Un caso su cui le autorità competenti non hanno ancora svolto indagini adeguate, malgrado le evidenze di collegamenti tra gli assassini e il taglio illegale del legno.
«Le tecnologie GPS aiuteranno i Ka’apor a sorvegliare in modo autonomo la foresta e a proteggere le loro terre. Ma saranno utili anche per fornire ulteriori prove a sostegno della necessità di un intervento concreto da parte delle autorità per porre fine alle violenze provocate dal taglio selvaggio e illegale perpetrato in questa regione – commenta Martina Borghi, Campagna Foreste di Greenpeace Italia -. Finora il popolo Ka’apor ha potuto contare solo sulle proprie risorse per difendere il territorio e la sua stessa sopravvivenza. Noi abbiamo offerto supporto tecnologico, ma purtroppo ancora non basta. È necessario che il governo brasiliano protegga il popolo Ka’apor, garantendogli i diritti fondamentali».
Greenpeace chiede agli operatori del mercato internazionale del legno di esigere dai loro fornitori brasiliani ulteriori garanzie, oltre ai documenti ufficiali, per assicurarsi che il legname proveniente dall’Amazzonia non derivi dal contrabbando nelle terre indigene. Il governo brasiliano deve inoltre rivedere tutti i piani di gestione forestale approvati dal 2006 in Amazzonia come primo passo per porre fine alla deforestazione illegale, assicurando al tempo stesso piena ed effettiva protezione di tutti i territori indigeni.