L’Associazione delle industrie del dolce e della pasta italiane perché promuove un prodotto asiatico a scapito di prodotti nazionali incommensurabilmente migliori e salubri? Perché le associazioni ambientaliste non lanciano il boicottaggio di alcuni marchi? Dove sono le associazioni dei consumatori e quelle sanitarie che si occupano di salute e di diete? Siamo proprio definitivamente lobotomizzati dalla pubblicità?
In molti avranno notato in questi giorni sulle riviste e i quotidiani italiani una pagina pubblicitaria promossa dall’Associazione delle industrie del dolce e della pasta italiane (Aidepi) in cui si tenta, ancora una volta, vergognosamente, di ripulire la non difendibile reputazione dell’olio di palma. Nonostante siano tanti coloro che, mossi sempre da interessi economici, con argomentazioni ridicole e prive di alcun supporto scientifico sostengono i benefici dell’olio assassino, quella dell’Aidepi è ancor più grave perché viene da un’associazione di produttori italiani che invece di sostenere i benefici e il basso impatto ambientale degli oli d’oliva o di girasole prodotti in Italia, investe del denaro per insinuare un messaggio altamente pericoloso nei lettori.
Perché invece di appoggiare il Made in Italy, l’associazione delle industrie del dolce e della pasta italiane promuove e difende l’olio di palma prodotto in Asia? La risposta è semplice. Ed è sempre la solita: interessi economici delle aziende che rappresenta. Ebbene sì, perché nonostante essa sia portavoce delle realtà produttrici nazionali, l’associazione è certamente al corrente di quale sproporzionato uso le aziende italiane facciano dell’olio di palma nei loro prodotti (basta leggere le etichette di biscotti, merendine e fette biscottate dei principali marchi per rendersi conto che la maggioranza dei prodotti sono intrisi di oli tropicali, che hanno praticamente sostituito gli oli locali) e quanto il tema sia sempre più dibattuto. Di recente, riviste divulgative molto diffuse avevano lanciato una sorta di campagna in difesa dell’olio di palma (che ho provveduto a smontare parola per parola), ora anche le aziende tentano il tutto per tutto e con la scusa di «parlarne» ripuliscono la terribile reputazione cresciuta intorno agli oli tropicali.
Per comprendere gli affannosi tentativi basta analizzare nel dettaglio il messaggio riportato nel promo diffuso sui media italiani:
– «L’olio del frutto di palma è un prodotto di origine naturale», ci informano dall’Aidepi. Ma davvero? Perché esiste un olio alimentare che non lo sia? Vogliono forse prenderci per scemi? Forse si riferiscono ai sospetti di trattamento chimico del prodotto, aspetto per altro poco escludibile dal momento che la produzione avviene prevalentemente in Indonesia, a migliaia di chilometri di distanza dal luogo di confezionamento del prodotto finale.
– L’Aidepi continua dicendo: «Come dimostrato da numerosi studi scientifici [l’olio di palma] non presenta rischi per la salute ed è un ottimo alimento». In realtà, vi sono pochissimi studi scientifici realizzati in merito e molti di essi sono pubblicati da gruppi che hanno sospetti collegamenti con l’industria proprio degli oli tropicali. Inoltre, affermare che si tratti di «un ottimo alimento» è come dire che Nutella sia un prodotto «nutriente e salutare». Motivo per cui la crema Ferrero, tanto amata dalla signora Renzi, è stata pesantemente multata negli Usa per «pubblicità ingannevole». Forse in Italia, famosa patria del culto alimentare, si può dire qualunque assurdità sul cibo e negli Usa, rinomata per i fast-food, sono più attenti alla qualità? Mah… non sarà il caso di far partire una Class Action anche stavolta?
– La perla è nella frase successiva dello spot: «Con una produttività per ettaro dalle 5 alle 11 volte superiore a qualsiasi altro olio vegetale, l’olio del frutto di palma è già di per sé un bene per l’ambiente». Ah sì? Certo, se l’efficienza si calcola a discapito della foresta tropicale che viene tagliata a ritmo incessante distruggendo qualunque essere vivente, la produttività è certamente maggiore rispetto a un uliveto. Proporrei di inserire nel calcolo anche quanto olio di fegato di orango possa essere ricavato in questa maniera, per un conteggio più accurato. Sostenere che sottrarre mercato alla produzione nazionale di olio d’oliva per importare un olio con alle spalle una lunga scia di sangue, di distruzione e di diritti violati «sia di per sé un bene per l’ambiente» è la più assurda idea che un’associazione, di qualunque genere, potrebbe promuovere. Figurarsi se l’associazione in questione è preposta a tutelare gli interessi dei produttori nazionali. Ma di quale nazione, dell’Indonesia? Neanche perché stanno per abbattere tutte le loro foreste! E poi, l’efficienza non potrà mai giustificare la perdita di una delle zone con la più alta biodiversità al mondo. Per cosa? Per produrre grassi biscotti e oleose merendine?
– Poi l’Aidepi lancia un boomerang: «Ecco perché le grandi associazioni ambientaliste internazionali non promuovono il boicottaggio dei prodotti con olio del frutto di palma, ma supportano un acquisto rispettoso delle foreste e delle comunità locali». Il boomerang ritorna e colpisce: certo che le grandi associazioni ambientaliste non promuovono il boicottaggio, infatti molte di esse sono finanziate proprio dagli stessi gruppi di produttori di olio di palma, siedono ai loro tavoli, cercano un compromesso per non danneggiare nessuno e in realtà danneggiano tutti (a parte loro stessi che continuano a fare affari con coloro che dovrebbero combattere). Se non promuovono il boicottaggio è perché sanno bene quanti finanziamenti perderebbero in questo modo, quanti soci troppo pressati dalla richiesta di radicali cambiamenti di stile di vita si allontanerebbero e quanto sia più semplice allearsi col nemico per mostrare al mondo la faccia pulita di una medaglia sporchissima. L’acquisto di olio rispettoso delle foreste è solo uno: quello che non prevede prodotti contenenti oli tropicali. Che sia chiaro ancora una volta: l’olio di palma biologico o sostenibile non esiste, pur se certificato. Perché per produrlo si è, o si sta, deforestando la foresta tropicale e perché chi certifica simili prese in giro sono un manipolo di associazioni mangiasoldi interessate più al proprio bilancio annuale che all’ambiente e le stesse aziende che con l’olio di palma fanno quattrini. L’olio di palma sotenibil-bio-eco-cert è il più grande caso di greenwashing (ovvero lavaggio del cervello in tema ambientale, ovvero presa per i fondelli) della storia.
– Infine l’Aidepi sostiene di credere «fortemente in un approvvigionamento sostenibile delle materie prime agricole e [che] le principali Aziende utilizzatrici di olio del frutto di palma sono impegnate ad acquistare solo ed esclusivamente tale ingrediente con certificazione di sostenibilità ambientale». L’Aidepi può credere in quello che vuole, ma perché grande e grossa com’è crede ancora nelle favole? Non c’è nulla di sostenibile, e non potrebbe esserci in alcun modo, nella produzione di olio di palma. Le certificazioni le assegnano e verificano le stesse aziende produttrici del Sud-est asiatico. Le associazioni ambientaliste chiudono uno e, spesso, anche due occhi e il messaggio che passa è che le principali aziende nazionali siano così rispettose dell’ambiente che si riforniscono solo di olio di palma sostenibile. Peccato che non ci si possa rifornire di qualcosa che non esiste!
Lo spot si chiude con eccesso di foga: «Quindi sì, l’olio di palma rispetta l’ambiente e la salute». Dove sono le associazioni di consumatori quando servono? Quando devono impugnare simili assurdità dichiarate da un’associazione di industriali? Possibile che la coscienza sociale sia così assopita da farsi trapassare da tali messaggi e restare indifferente, o ancor peggio convincersene? Io mi indigno, mi schifo, mi arrabbio perché così si uccide due volte. Si rade al suolo una foresta e tutta la vita che la popola e si balla sulle sue spoglie con sudicio ghigno d’affarista. Si devasta la bellezza del mondo per indurre bambini occidentali a ingozzarsi di merendine e biscotti grassi, insalubri e dannosi «quindi sì» per l’ambiente e la salute.
Non c’è mai limite alla subdola manipolazione della mente di un essere umano considerato ormai un lobotomizzato follower di qualunque edulcorato slogan, che ingurgita messaggi promozionali come confetti fecali ricoperti di glassa e fagocita banalità farcite di squallore.
Io mi indigno, io mi schifo, io m’arrabbio perché ho guardato negli occhi quegli oranghi a cui avevano distrutto la casa e che morenti giacevano sul suolo spoglio dell’ennesima foresta distrutta per far posto a una piantagione di quello che un giorno sarebbe stato certificato come «olio di palma sostenibile» e nel loro sguardo non ho letto lo spot dell’Aidepi, ma una sola domanda: «Perché?».
Non è ancora tardi per iniziare anche noi, primati evoluti e rimbecilliti dalle pubblicità, a chiedercelo, invitando le associazioni che realizzano simili spot e i giornali che li pubblicano a fare lo stesso!