Anche i cani hanno una coscienza

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Un esperimento etologico pionieristico ha dimostrato che i cani sanno bene chi sono. D’ora in poi, grazie a questo lavoro, sarà più difficile stabilire, osservando il nostro cane, se in quel momento siamo noi che pensiamo a lui o è lui che pensa a noi. Sarà, però, un po’ più facile riconoscere che quell’età dell’empatia, anticipata dal grande etologo Frans De Waal, è finalmente arrivata

Che il miglior amico dell’uomo avesse una coscienza è ciò che ogni padrone sarebbe stato pronto a scommettere senza pensarci neanche un attimo. Il problema nella scienza è, però, che le idee e le ipotesi vanno dimostrate. Non basta avere il sentore di qualcosa perché questo possa esser ritenuto un fatto scientifico.
Grazie ad una paziente ricerca del prof. Roberto Cazzolla Gatti presso la Tomsk State University in Russia, forse siamo ad una svolta, ad una delle più significative rivoluzioni nel campo etologico dopo la scoperta dell’imprinting!

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Nella foto, a sinistra, «Miss 2001-2015», uno dei quattro cani citati nell’esperimento, e purtroppo deceduto recentemente

 

La consapevolezza di sé, o auto-coscienza, è stata studiata principalmente esaminando le risposte di animali e bambini al loro riflesso nello specchio. La prova definitiva del possesso di una coscienza di sé, del proprio corpo e della propria identità viene valutata in base alla capacità del soggetto di usare la propria immagine riflessa per accorgersi della presenza di un segno applicato sotto anestesia o durante una fase di distrazione (solitamente un puntino rosso) sul viso, sulla testa o su altre parti del corpo, toccandolo. Questa prova è nota con il nome di «test dello specchio» e a molti sarà capitato di osservare esperimenti condotti con bambini o scimpanzé che facilmente individuano allo specchio e toccano ripetutamente sul proprio corpo il segno lasciato dallo sperimentatore.
L’idea alla base del test è che il soggetto che comprende il concetto di «sé» e «dell’altro», è in grado di distinguere le due entità e, pertanto, di riconoscere se stesso nel riflesso. La conseguenza più interessante derivante dalla conferma di una coscienza di sé è che, sulla base di questi risultati, altre abilità comportamentali possono essere dedotte quali, ad esempio, l’empatia.
Infatti, la capacità di differenziare se stessi dagli altri è spesso considerata un prerequisito fondamentale per comprendere che qualcun altro potrebbe essere felice o triste, anche se chi osserva non lo è.
Tuttavia, l’abilità nel riconoscere la propria immagine nello specchio è una capacità estremamente rara nel regno animale. Sino ad oggi, solo l’uomo e le grandi scimmie (esclusi i gorilla), un singolo elefante asiatico, alcuni delfini, la gazza eurasiatica e alcune formiche hanno superato il test di auto-riconoscimento allo specchio (MSR). Una vasta gamma di specie è stata vista fallire il test tra cui diverse specie di scimmie, panda giganti, leoni marini, piccioni e cani.
I cani, in particolare, non mostrano alcun interesse nel guardarsi allo specchio, ma di solito annusano o urinano intorno ad esso. Cani e lupi, come i delfini, mostrano un alto livello di complessità comportamentale e cognitiva, ma i precedenti tentativi di dimostrare l’auto-riconoscimento di questi animali sono stati inconcludenti.
Un nuovo studio, però, rivoluziona l’idea di consapevolezza di sé negli animali e suggerisce un nuovo approccio etologico, che può far luce su diverse modalità di verifica della presenza di cognizione e riapre il dibattito di etologi (e filosofi) sulla coscienza. La ricerca condotta da Roberto Cazzolla Gatti, professore associato presso la Tomsk State University in Russia e pubblicata questa settimana sulla rivista «Ethology, Ecology and Evolution», col titolo mutuato dal romanzo di Lewis Carroll «Coscienza di sé: oltre lo specchio e quel che il cane vi trovò», potrebbe cambiare per sempre il modo con cui vengono validate alcune prove sperimentali sul comportamento animale.

L’autore dello studio

«Ritengo – ha dichiarato il prof. Cazzolla Gatti – che, essendo i cani molto meno sensibili agli stimoli visivi rispetto a quanto, ad esempio, lo siano gli esseri umani e molte scimmie antropomorfe, è probabile che il fallimento di questa specie e di altre nel test dello specchio sia dovuto principalmente alla modalità sensoriale scelta dallo sperimentatore per testare la consapevolezza di sé e non, per forza, all’assenza di quest’ultima».
Alcuni tentativi per verificare questa idea sono stati realizzati in precedenza, ma la maggior parte di essi erano solo osservazionali, mancavano di prove empiriche oppure erano stati eseguiti solo con un esemplare e non ripetuti sistematicamente con altri cani di sesso ed età diverse (ad esempio Mark Bekoff nel 2001 ha utilizzato un «test della neve gialla» per misurare per quanto tempo il suo cane annusava la sua traccia di urina e quella degli altri cani della zona). Pertanto, la prova conclusiva di auto-riconoscimento in una specie filogeneticamente distante dai primati (quindi dotata di diverse modalità sensoriali e comunicative) come il cane non è stata ottenuta.
Il lavoro del prof. Cazzolla Gatti ha dimostrato che «l’esame olfattivo di auto-riconoscimento» o, in inglese, «sniff test of self-recognition (STSR)», come lo ha definito lo scienziato italiano nel suo studio, anche quando lo si testa con molteplici individui che vivono in gruppo e con età e sessi diversi, fornisce prove significative della consapevolezza di sé nei cani e può svolgere un ruolo fondamentale nel dimostrare che questa capacità non è una caratteristica specifica solo delle grandi scimmie, degli esseri umani e di pochi altri animali, ma dipende dal modo in cui i ricercatori cercano di verificarla.
«Ho realizzato questa ricerca – ha spiegato il prof. Cazzolla Gatti – con un test effettuato sui 4 cani, tutti randagi cresciuti in semi-libertà. Ho raccolto campioni di urina di ciascun cane e li ho divisi e conservati in contenitori relativi a ognuno di essi. Successivamente ho sottoposto gli animali allo sniff test of self-recognition. Ho ripetuto il test 4 volte durante l’anno, all’inizio di ogni stagione. Questo test non è altro che una versione modificata del test dello specchio, effettuato per verificare l’olfatto, e non la vista, come il senso principale per determinare la consapevolezza di sé».

L’esperimento

All’interno di una recinzione il biologo ha posizionato 5 campioni di urina contenenti l’odore di ognuno dei quattro cani più un «campione bianco», riempito solo con cotone idrofilo senza odori. I contenitori sono stati poi aperti e ogni cane è stato singolarmente introdotto all’interno della gabbia e lasciato libero di muoversi per 5 minuti. Da quel momento il tempo impiegato da ciascun cane ad annusare ogni campione è stato registrato.
Il risultato è stato sorprendente: tutti i cani hanno dedicato un tempo maggiore ad annusare i campioni di urina degli altri piuttosto che il proprio e questo comportamento ha conferma l’ipotesi che i cani sembrano conoscere esattamente il proprio odore, ne siano meno interessati, e siano, pertanto consapevoli di sé.
Inoltre, lo studio mostra una correlazione tra l’età dei singoli cani e il tempo trascorso ad annusare i campioni di urina, risultato che supporta fortemente l’idea che la consapevolezza di sé aumenti con l’età, come dimostrato in altre specie, come gli scimpanzé e l’uomo.
«L’approccio innovativo per testare la consapevolezza di sé con un test olfattivo – ha precisato il prof. Cazzolla Gatti – evidenzia la necessità di spostare il paradigma dell’idea antropocentrica di coscienza verso una prospettiva specie-specifica. Non potremmo mai aspettarci che una talpa o un pipistrello riconoscano se stessi in uno specchio, ma ora abbiamo forti evidenze empiriche per ritenere che se le specie diverse dai primati vengono sottoposte a test basato sulla percezione chimica o uditiva potremmo ottenere dei risultati davvero inaspettati».
D’ora in poi, grazie al lavoro di Roberto Cazzolla Gatti, sarà più difficile stabilire, osservando il nostro cane, se in quel momento siamo noi che pensiamo a lui o è lui che pensa a noi. Sarà, però, un po’ più facile riconoscere che quell’età dell’empatia, anticipata dal grande etologo Frans De Waal, è finalmente arrivata.

La versione in inglese