Ripensare le città con periferie sostenibili

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«Non espandere le città ha un’influenza dal punto di vista ambientale in quanto presuppone minori spostamenti, minore inquinamento, minori costi per i servizi pubblici, per i sottoservizi e per la realizzazione dell’urbanizzazione primaria. Una città sostenibile è una città che riesce a contenere la sua espansione e tendere al consumo zero di suolo andando a recuperare le aree che possono essere recuperate»

Si è svolto, così come anticipato in un precedente articolo, l’ultimo dei tre incontri a chiusura del progetto «Il paesaggio possibile. Percorsi per nuovi scenari sostenibili», promosso dal CeLips, scuola di alta formazione e ricerca, in partnership con i Comuni di Bari, Capurso, Triggiano, Cellamare, Noicattaro e Sammichele di Bari.
Progettare l’architettura e il paesaggio in modo sostenibile, avviare processi di rigenerazione urbana e migliorare la qualità della vita nei comuni dell’Area Metropolitana di Bari, questi gli argomenti di discussione.
Noi di «Villaggio Globale» abbiamo voluto esserci approfondendo le questioni oggetto di discussione e orientandole anche verso argomenti di estrema attualità.
«L’urbanistica sostenibile prima dell’architettura sostenibile», con questo input si avvia il messaggio dell’assessore Curcuruto che parlando di quello che si è avviato nel tempo partendo dal ricercare la sostenibilità nella rigenerazione di edifici pubblici, ripensati anche in termini di energia rinnovabile e di isolamento termico, successivamente ha coinvolto anche l’edilizia privata con un sostegno nella defiscalizzazione degli interventi da parte del governo centrale.
L’Assessore pur affermando che «tutto serve per migliorare la qualità dell’architettura e della vita sotto il profilo dell’inquinamento ambientale» ha però riconosciuto che gli interventi di riqualificazione edilizia sono ancora interventi spot che non hanno un’influenza sulla sostenibilità ambientale in senso generale, argomeno questo molto più ampio che richiede un passo in avanti che guardi ad un’architettura sostenibile.
Si parla di consumo di suolo zero, un percorso a cui bisogna tendere senza pensare che sia un processo immediato e questo in una Puglia che, secondo uno studio redatto dall’Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale (Ispra), vede un Salento fortemente edificato, e questo anche a causa della sua demografia molto fitta, contrapposto ad una situazione abbastanza favorevole nelle restanti province.
«Non espandere le città ha un’influenza dal punto di vista ambientale in quanto presuppone minori spostamenti, minore inquinamento, minori costi per i servizi pubblici, per i sottoservizi e per la realizzazione dell’urbanizzazione primaria. Una città sostenibile è una città che riesce a contenere la sua espansione e tendere al consumo zero di suolo andando a recuperare le aree che possono essere recuperate», questo quanto l’Assessore afferma con forza e che in ultimo, salutando i presenti, anticipa la sottoscrizione di un Protocollo d’Intesa, da sottoscrivere con l’Associazione nazionale comuni italiani (Anci), l’Assocazione nazionale costruttori edili (Ance), l’Ordine degli ingegneri e degli architetti, il Politecnico di Bari, l’Associazione bancaria italiana (Abi), necessario per affrontare il tema della rigenerazione urbana, unica risposta per un futuro attento al recupero degli spazi dismessi o dismettibili della città in chiave di sostenibilità ambientale.

Abbiamo poi chiesto al prof. Guido Raffaele dell’Osso, Professore del Dipartimento di Ingegneria civile, ambientale, del territorio, edile e di chimica del Politecnico di Bari, cosa si intende per «architettura sostenibile» oggi?

L’architettura sostenibile progetta e costruisce edifici in grado di limitare gli impatti sull’ambiente in chiave energetica e vedendo l’intero bilancio delle opere con un’attenzione particolare all’uso dei materiali e al ciclo di vita della costruzione che deve necessariamente prevedere una trasformazione nel tempo delle opere che non tenga conto solo della cura dei particolari ma della necessità di creare un minor impatto possibile sul territorio.

Quanto c’è di veramente legato alla voglia di difendere il paesaggio dall’opera dell’uomo e rendere la sua presenza quanto più sostenibile possibile, e questo non solo nell’architettura ma anche nella cultura in senso più ampio, e quanto invece rappresenta solo un business, una moda radical chic del momento?

La risposta sta nel tendere ad una sintesi tra i due aspetti con ricadute anche in termni etici e produttivi, coinvolgendo cioè anche aspetti sociali ed economici. Quelle che rappresentano le vere risposte ad una effettiva esigenza di difendere il paesaggio dall’opera dell’uomo sono racchiuse nella necessità di riqualificare l’esistente senza andare ad utilizzare altro suolo per edificare l’espansione di centri urbani. La riqualificazione dell’edilizia è un percorso indispensabile in quanto garantisce la migliore combinazione di fattori produttivi volti a determinare la soluzione più economica e allo stesso tempo più sostenibile.
In questo contesto come si pongono le periferie anche e soprattutto alla luce di quanto annunciato dal premier Renzi in ambito di aiuti volti a riqualificare le zone più ai margini delle città e ricordando che è di pochi giorni fa il discorso del Presidente del Consiglio che alla direzione nazionale del Pd sulla politica estera, e in riferimento a quanto sta avvenendo nel mondo in termini di attacchi terroristici, ha detto: «La politica estera oggi si fa partendo dal modo in cui si governano le periferie».

Come il progettare sostenibile può supportare quest’azione di riqualificazione?

Certamente l’argomento è molto complesso e ampio ma l’organizzazione delle periferie fatte nella pianificazione dei centri urbani degli anni 70 ha avuto responsabilità elevate nel creare spaccature sociali. Le periferie sono infatti state progettate male, viste come aree svantaggiate rispetto al centro cittadino, sia dal punto di vista urbanistico e funzionale, sia dal punto di vista socio-economico, una collocazione nel tessuto urbano a cui spesso è stata data una connotazione di squallore e desolazione in un contesto in cui l’urbanistica ha avuto, ha e avrà un ruolo forte incentrato, in questo momento storico, sulla riqualificazione delle aree.

L’architettura sostenibile, chiediamo all’arch. Patrizia Milano, Settore architettura del paesaggio, Eco-logica srl di Bari, quanto vuole guardare alla difesa del paesaggio dall’opera dell’uomo e quanto è invece sostenuta dal voler seguire una moda «ambientalista» del momento?

Certamente quando si parla di architettura sostenibile si parla di un termine di moda che è però, di contro, anche un bisogno, una necessità che si respira nelle case, nei luoghi di lavoro cioè negli edifici dove noi tutti trascorriamo la maggior parte del nostro tempo. Quindi ben venga che sia un termine di moda purché presupponga una sua integrazione con la qualità dell’abitare.

L’architettura ecosostenibile è oggi per tutti o per i soliti pochi? Potrà in futuro avere una diffusione massificata perchè caratterizzata da costi contenuti, o viceversa resterà alla portata di una piccola cerchia di persone facoltose?

Noi categoria di architetti pensavamo che l’architettura sostenibile fosse per pochi ma ci siamo sbagliati; una diffusione ampia della cosa richiede però un’inversione del mercato che veda un diverso rapporto con l’ambiente, un’innovativa progettazione del tessuto sociale e un modificato utilizzo delle risorse naturali e il tutto fondendo e facendo convivere le definizioni di paesaggio e di abitato.

Infine, all’arch. Laura Pighi, Responsabile Habitech, distretto tecnologico trentino, abbiamo chiesto che cosa sottintende il progettare un’«architettura sostenibile»?

Sicuramente la capacità di reitegrare varie competenze, di dare un senso circolare al sistema che vede recuperare vari elementi, edificio-paesaggio, elementi che vanno a convivere in una declinazione possibile.

L’architettura ecosostenibile è oggi per tutti o per i soliti pochi? E quali le resistenze e i punti di forza di questo processo?

L’architettura sostenibile è accessibile a tutti ma parte da un attegiamento culturale che vede il bene comune come un bene non infinito che deve necessariamente valutare termini quali il riuso, il recupero che non coinvolgano i soli beni materiali ma che vogliano dare il giusto peso anche al valore storico di quello che è da rigenerare e questo in un’Italia che ha un patrimonio artistico-culturale forse tra i più corposi al mondo.

 

Ma parliamo del metodo applicativo di progettazione eco-charrette.
Il metodo serve per dar corpo a tutti i temi che integrandosi risultano necessari a realizzare una progettazione integrata che porti alla stesura di un documento di piano che non trascuri aspetti importanti quali la cultura, l’ambiente, la tecnica di progettazione, l’estetica.
In definitiva, un percorso che ha lanciato importanti spunti di riflessione e che ha visto il ricorrente utilizzo di termini quali salvaguardia, cultura, futuro.
Perché il nostro vivere parte dalla necessità di salvaguardare il nostro bene più importante, l’ambiente, quella parte di ecosistema dove clima, morfologia dei luoghi, ecc. interagisce con forme di vita animale e vegetale in uno scambio continuo di energia e processi, che, di contro, per essere messo al centro delle politiche di sviluppo necessita di uno sforzo culturale che imponga un cambiamento socio-politico nelle scelte di gestione del territorio e il tutto in una prospettiva futura che metta in conto la necessità di ridurre, riusare e riqualificare tutto l’esistente, nelle sue svariate accezioni.