Varietà nel Diritto

500
Tempo di lettura: 3 minuti

Ma la dialettica perenne si snoda nella dinamica tra Diritto Oggettivo e Diritto Soggettivo, condizionata dall’assetto ideale riconosciuto dallo stato e dalle sue norme a tutela dei singoli cittadini. Al convincimento che il Diritto coincida con quanto sancito nei Codici si oppone l’altra idea che definisce il Diritto come l’insieme delle pretese degli singoli in quanto soggetti attivi della convivenza anche se non costituita in comunità civile «normata».

Emerge un altro problema: le comunità si comportano riconoscendo e rispettando gli usi tramandati. Costumi e regole sono frutto della tradizione culturale locale certamente contaminata dall’influsso delle tradizioni di territori limitrofi o dai comportamenti e dalle credenze di soggetti immigrati, per cui assistiamo alla proliferazione dei principi invocati e degli stili la cui consuetudine affiora, con il tempo, al valore di legge. Anche per questo è nata la soluzione del «Diritto Naturale», da cui sono derivati giudizi su comportamenti definiti generali, assoluti, perenni e validi per tutti gli uomini e in ogni circostanza «nel rispetto del diritto naturale».
A causa di ciò anche all’interno di una stessa comunità civile la concezione del Diritto si differenzia secondo l’interpretazione del Diritto Oggettivo, la natura dello stato e la dialettica socio-politica che condiziona i rapporti interni e quelli internazionali.
Per porre fine al confronto negativo ed indefinito e per sancire la pacificazione tra le parti e l’obbligo sanzionatorio contro le inosservanze gli ordinamenti si sono dati la figura del giudice terzo di ultima istanza presso cui si concluderebbe l’iter processuale. Eppure neanche questo basta perché si ponga fine al contenzioso e alle lotte, come nel caso delle Corti di Giustizia internazionali, dell’Onu, ecc.
Oggi, sull’emigrazione ed immigrazione c’è duro scontro tra le parti politiche, anche tra quelle che vantano le stesse radici socio-religiose. In Italia si è verificata una evoluzione epocale sul tema: fino a quando i lavoratori italiani hanno cercato, dall’800 in poi, la loro collocazione oltre confine ed oltre oceano l’intervento dello Stato si è limitato a facilitare l’espatrio o a tollerare quello clandestino. Dopo il secondo conflitto mondiale, in ossequio alle «direttive» provenienti segretamente dagli Usa, in Italia si favorì l’emigrazione individuale e di massa con ogni mezzo con l’effetto «improvvido» (come lo dichiarò Ugo La Malfa nella sua famosa «Nota aggiuntiva» al Piano economico del governo) di impoverire l’economia agricola del Paese, del Mezzogiorno in particolare. L’intento americano di limitare l’incidenza migratoria sugli States e rafforzare il ripristino dell’economia europea antisovietica anche con l’assenso italiano non aveva niente a che vedere con il Diritto individuale al lavoro, ma era tutta animata dalla concezione pragmatica per lo scacchiere mediterraneo. C’era forse un rapporto tra diritto Oggettivo e quello Soggettivo?

Eccoci oggi alla chiamata in causa delle nazioni europee sul fenomeno dell’immigrazione: si dibatte su quella invocata come rifugio politico e l’altra definita clandestina. In base a quale diritto si fa tale distinzione? E quale sarebbe la normativa circa il diritto soggettivo alla sopravvivenza, alla nutrizione e alla libertà e quale principio riconoscerebbe la cittadinanza per chi nasce in un territorio? Forse la lingua? Che forse tutti i cittadini di un territorio nazionale parlano la stessa lingua, come le minoranze linguistiche? E allora? Sembrerebbe che alla distinzione tra Diritto Oggettivo e Soggettivo si debba aggiungere il terzo elemento: il Diritto Relativo.
Al di là delle distinzioni legali si pone oggi il problema dell’analisi dei flussi come fenomeni epocali umani che fanno seguito a tutte le trasmigrazioni storiche che pensavamo, erroneamente, concluse in modo definitivo. E non c’è ancora in campo la causa climatica che spingerà nuovi flussi verso le zone più temperate o più fredde del pianeta per assicurarsi la sopravvivenza.
Appellarsi al Diritto di status quo, per gli stati come per i partiti, è insufficiente, illogico e di gretto conservatorismo. Anzi la cosa mette a nudo concezioni razzistiche e autodifensive, xenofobe.
Disordini socio-politici, lotte tribali, dittature militari, azioni rivoluzionarie, organizzazioni delinquenziali non possono costituire in norma i fenomeni, soprattutto quando a monte di tante ingiustizie dobbiamo ammettere la responsabilità degli Stati per il loro comportamento colonialista del passato, stati che si ritengono oggi democratici e liberi.

Diritto e globalità