Un gruppo di ricerca dell’università di Pisa ha ricostruito le abitudini alimentari di cetacei primitivi. «Zifidi e cetoteridi costituiscono componenti importanti delle associazioni fossili a vertebrati marini del Miocene superiore (circa 12-5 milioni di anni fa) e dunque rappresentano tappe fondamentali nell’evoluzione dei cetacei e più in generale nella strutturazione dei moderni ecosistemi marini
Dalle rocce sedimentarie che compongono il deserto di Ica affiorano fossili di vertebrati marini che svelano i segreti dell’evoluzione degli antichi sistemi oceanici. Succede in Perù, grazie alle campagne di scavi intraprese dal 2006 da un gruppo di ricerca internazionale coordinato dall’Università di Pisa, che nel corso degli anni sono riuscite a riportare alla luce sull’altopiano di Pisco, lungo la costa meridionale del Paese, uno straordinario numero di fossili, tra cui il Leviatano, parente dell’attuale capodoglio ritrovato ormai alcuni anni fa. Il cuore di quello che possiamo definire il «laboratorio dell’evoluzione in ambiente marino» è il sito di Cerro Colorado dove, in un’area di circa 12 chilometri quadrati (più o meno coincidente con quella della città di Pisa), sono stati censiti 318 fossili di vertebrati marini risalenti a circa 10 milioni di anni fa.
Stavolta a dare informazioni sull’evoluzione della vita negli oceani sono stati i cetoteridi (una famiglia estinta di balene di piccola taglia) e gli zifidi (cetacei ancora oggi rappresentati, ma poco conosciuti per via delle loro abitudini di profondità). Le ultime campagne di scavo hanno gettato nuova luce sulle consuetudini alimentari di queste forme di cetacei «primitivi»: «Nella primavera dello scorso anno, durante lo scavo di uno scheletro quasi completo di cetoteride, ossa e scaglie di sardina sono stati rivenuti in corrispondenza della cassa toracica – racconta Alberto Collareta, dottorando dell’Università di Pisa che con i suoi studi sta cercando di ricostruire la struttura ecologica della fauna fossile della Formazione Pisco –. Tali resti sono stati interpretati come il contenuto stomacale fossilizzato della balena. Sulla base di questo ritrovamento si ipotizza che il cetoteride di Cerro Colorado fosse un piscivoro che si alimentava “a boccate”, una strategia trofica che caratterizza tutte le balene che oggi si nutrono di pesci». Lo studio del contenuto stomacale, un oggetto molto fragile e dalla complessa architettura tridimensionale, è stato possibile grazie all’applicazione di metodologie di imaging per tomografia assiale computerizzata ad alta risoluzione (micro-CT) in collaborazione con i ricercatori dell’U.O. Radiodiagnostica 3 e dell’Istituto di Fisiologia Clinica del Cnr di Pisa.
«A settembre 2014 è stato poi il turno dello zifide – aggiunge Collareta –. La scoperta di un gran numero di scheletri parziali di sardina associati a uno scheletro di zifide è stato interpretato come evidenza di interazione trofica tra il cetaceo (il predatore) e i pesci (le prede). Questo record fossile supporta l’ipotesi che le abitudini abissali e la dieta a base di molluschi cefalopodi caratterizzino solo gli zifidi “moderni”, mentre l’estinzione delle forme più primitive potrebbe coincidere con la radiazione dei delfini, che ne avrebbero occupato la nicchia ecologica da predatori superficiali».
Alberto Collareta mentre scava le mandibole di un cetoteride a Cerro Colorado
Infine, entrambi i ritrovamenti indicano che, come anche oggi accade, le coste del Perù vedessero la presenza di ingenti banchi di sardine che attiravano una grande diversità di vertebrati predatori. Questi due studi sono stati pubblicati in due articoli gemelli recentemente pubblicati su «The Science of Nature» e sui «Proceedings B of the Royal Society of London». «Zifidi e cetoteridi costituiscono componenti importanti delle associazioni fossili a vertebrati marini del Miocene superiore (circa 12-5 milioni di anni fa) e dunque rappresentano tappe fondamentali nell’evoluzione dei cetacei e più in generale nella strutturazione dei moderni ecosistemi marini – conclude Collareta –. Tuttavia, prima delle nostre ricerche nel deserto del Perù non avevamo nessuna testimonianza diretta del loro ruolo ecologico».
«Questi risultati – commenta Giovanni Bianucci, paleontologo del Dipartimento di Scienze della Terra dell’Università di Pisa, veterano del deserto del Perù e coordinatore di un progetto Prin e di un National Geographic Grant – sono frutto del costante e meticoloso lavoro di campagna effettuato negli ultimi anni, che ha visto sul terreno un gruppo costituito da paleontologi dei vertebrati, micropaleontologi, geologi e vulcanologi. Tale impegno, che continua tuttora, è possibile grazie a progetti che coinvolgono scienziati delle università di Pisa, Camerino e Milano Bicocca e diverse istituzioni straniere. Grazie a questo genere di finanziamenti, giovani ricercatori italiani, laureandi e dottorandi, hanno avuto la possibilità di affrontare le grandi questioni dell’evoluzione oceanografica e biologica dell’ambiente marino in una delle aree più significative a livello mondiale, confrontandosi sul campo con scienziati provenienti da tutto il mondo. Un’esperienza – conclude Bianucci – che dimostra l’importanza, anche nell’ambito delle geoscienze, di un approccio multidisciplinare e integrato per raggiungere grandi risultati».