La prime dieci posizioni della classifica, con l’eccezione del Marocco che conferma la positiva performance dello scorso anno posizionandosi al decimo posto, è occupata da paesi europei. In testa vi è ancora una volta la Danimarca, seguita da Regno Unito, Svezia, Belgio, Francia e Cipro
Presentato a Parigi nel corso della Cop21 il rapporto annuale di Germanwatch e del Climate action network Europe (Can) sulla performance climatica dei principali paesi del pianeta «The climate change perfomance index», rapporto realizzato in collaborazione con Legambiente per l’Italia.
Il rapporto prende in considerazione la performance climatica di 58 paesi che insieme rappresentano oltre il 90% delle emissioni globali. La performance di ciascun paese è misurata attraverso il Climate hange Performance Index (Ccpi) e si basa per il 60% sulle sue emissioni, per il 20% sullo sviluppo delle rinnovabili (10%) e dell’efficienza energetica (10%) e per il restante 20% sulla sua politica climatica nazionale (10%) e internazionale (10%).
Anche quest’anno le prime tre posizioni della classifica non sono state attribuite, in quanto nessuno dei paesi ha raggiunto la necessaria performance per contrastare in maniera efficace i cambiamenti climatici in corso e contribuire a mantenere le emissioni globali al di sotto della soglia critica dei 2°C.
La prime dieci posizioni della classifica, con l’eccezione del Marocco che conferma la positiva performance dello scorso anno posizionandosi al decimo posto, è occupata da paesi europei.
In testa vi è ancora una volta la Danimarca, seguita da Regno Unito, Svezia, Belgio, Francia e Cipro.
In questo contesto la nostra Italia fa un balzo in avanti passando dal 16° all’11° posto grazie alla considerevole riduzione delle emissioni dovuta all’importante contributo delle rinnovabili e dell’efficienza energetica combinato con la perdurante stagnazione economica. Un trend positivo nonostante l’assenza di una politica climatica nazionale a livello degli altri partner europei, elemento questo che posiziona il nostro bel paese in fondo alla classifica specifica (51° posto) stilata dal rapporto per quanto riguarda proprio le politiche nazionali per il clima.
A livello europeo, la Germania continua a rimanere nelle retrovie, confermando il 22° posto dello scorso anno, dopo molti anni di leadership; una caduta dovuta alla considerevole quota di lignite nel mix energetico nazionale che non consente la necessaria riduzione delle emissioni indispensabile al raggiungimento dell’ambizioso obiettivo di riduzione entro il 2020 del 40% delle emissioni rispetto al 1990.
A livello globale vanno sottolineati invece i passi in avanti fatti da India, Stati Uniti e Cina, che grazie ai significativi investimenti nel settore delle rinnovabili e dell’efficienza energetica degli ultimi anni, risalgono il fondo della classifica e si posizionano rispettivamente al 25°, 34° e 47° posto.
Nel suo complesso il rapporto evidenzia un forte rallentamento della crescita delle emissioni globali di CO2, che ormai tendono a stabilizzarsi. Un trend positivo dovuto al considerevole sviluppo delle rinnovabili, che nel 2014 hanno registrato il 59% della nuova potenza elettrica installata a livello globale superando, per la prima volta, la potenza combinata delle nuove installazioni di centrali fossili e nucleari.
Una situazione che, a livello globale, va in miglioramento ma necessita di un’accelerata per imporre un cambiamento di tendenza risolutivo e duraturo. Importante è analizzare questi risultati in vista dell’emissione dell’accordo di Parigi, atteso per oggi; un accordo che deve avere al centro l’obiettivo globale di eliminare le emissioni da fonti fossili e raggiungere il 100% di rinnovabili entro il 2050.
Questo è l’obiettivo ambizioso al quale si deve tendere senza se e senza ma perché è solo così che sarà possibile contenere l’aumento della temperatura ben al di sotto della soglia critica dei 2°C.
E per il raggiungimento di questo obiettivo non vi sono barriere tecnologiche o economiche che possano ostacolare il raggiungimento del 100% di rinnovabili per tutti entro il 2050.
In queste ultime ore della Cop21 si scrive la storia del pianeta, si discute sulla sua sopravvivenza; ritardare alla fine del secolo una decisione vincolante sarebbe troppo tardi per le molte comunità vulnerabili del pianeta, in primis ma anche per tutto il resto della popolazione mondiale, che si troveranno a doversi difendere dai mutamenti climatici e da tutto quello che da essi ne deriva.