Acque di zavorra, ecco come evitare inquinamenti

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«Balmas» punta a costruire un sistema transfrontaliero per gestire il rischio di specie aliene. L’Istituto ha dato un forte contributo sia alle indagini biologiche nei porti sia all’indagine sull’abbondanza e composizione tassonomica degli organismi rinvenuti direttamente nelle acque di zavorra delle navi. Entrambe le attività sono state svolte nel porto di Bari. Un documentario ne ricostruisce le attività

Un progetto per costruire un sistema transfrontaliero di controllo e gestione delle acque di zavorra (ballast waters) delle navi. Si chiama «Balmas. Ballast Water Management System for Adriatic Sea Protection», riguarda il mare Adriatico e vede all’opera un partenariato internazionale di cui fa parte Ispra, che per sensibilizzare sul problema ha appena pubblicato un omonimo documentario che racconta il progetto.
L’acqua di zavorra rappresenta infatti uno dei principali vettori di diffusione di specie potenzialmente nocive che, oltre a costituire una temibile minaccia per gli ecosistemi marini, può comportare gravi conseguenze per le economie costiere, e nel caso di trasferimento e diffusione di alghe tossiche e microorganismi patogeni, costituire un serio problema sanitario.
Le dimensioni del problema sono notevoli, visto che il trasporto mondiale di merci è per il 90% di tipo marittimo: questo implica la navigazione giornaliera negli oceani di 50.000 navi mercantili, che trasferiscono tra i 3 e i 5 miliardi di metri cubi di acqua di zavorra l’anno nei porti del mondo, portando con sé fino a 7.000 specie acquatiche diverse.

Compito dell’Ispra è coordinare nel progetto le attività per la definizione di un sistema di allerta nell’Adriatico (Early Warning System), per consentire un intervento tempestivo ed efficace qualora specie non indigene o indigene nocive vengano rinvenute nei porti o aree limitrofe, evitando gravi conseguenze come quelle verificatesi lungo le coste peruviane agli inizi degli anni 90, in cui le epidemie di colera sono state associate proprio agli scarichi di acque di zavorra. Un caso che sarebbe tanto più grave in un mare semi-chiuso come il Mediterraneo. Inoltre, Ispra sta coordinando nel progetto l’individuazione di quelle azioni, normative ed istituzionali, in grado di facilitare l’effettiva applicazione in Adriatico delle nuove e complesse regole internazionali già adottate, che potrebbero prossimamente entrare in vigore.
Infatti, in futuro tutte le navi dovranno avere a bordo un impianto di trattamento delle acque di zavorra rispondente agli standard definiti dall’Organizzazione marittima internazionale (Imo), al fine di minimizzare i rischi di introduzione di specie nocive. Si inizierà da quelle costruite dopo l’entrata in vigore della Convenzione internazionale per il controllo e la gestione delle acque di zavorra delle navi e dei sedimenti, per arrivare a coinvolgere tutte le navi esistenti.
Gran parte dei sistemi di trattamento delle acque prevedono l’uso di biocidi, i cui sottoprodotti di disinfezione spesso sono scaricati nei porti. Ispra ha quindi portato avanti un’indagine sulla presenza ed abbondanza di questi prodotti nelle acque dei principali porti adriatici, prima che la convenzione entri in vigore, così da poter verificare successivamente l’eventuale entità della contaminazione chimica derivante dall’impiego di sistemi di trattamento. In ultimo, l’istituto ha dato un forte contributo sia alle indagini biologiche nei porti, attraverso il campionamento di macrozoobenthos di fondi mobili, sia all’indagine sull’abbondanza e composizione tassonomica degli organismi rinvenuti direttamente nelle acque di zavorra delle navi. Entrambe le attività sono state svolte nel porto di Bari e sono raccontate nel documentario.