A Taranto la Messa del precetto pasquale con il ministro Gian Luca Galletti e l’Arcivescovo di Taranto riaccende vecchie polemiche mai sanate. «L’azienda non porta nessun beneficio alla città e neppure alla nazione perché i materiali oggi arrivano dall’estero e sono molto più convenienti di quelli che produciamo all’interno»
Nella foto di Claudio Pasqua il ministro Gian Luca Galletti con Antonio Fago
Il ministro dell’Ambiente, Gian Luca Galletti, e il commissario straordinario Ilva, Piero Gnudi, hanno partecipato alla messa del precetto pasquale celebrata dall’arcivescovo di Taranto, monsignor Filippo Santoro, nella sede del distaccamento dei Vigili del fuoco all’interno dello stabilimento siderurgico.
Presenti anche numerose autorità cittadine, sindacalisti, dirigenti, funzionari e operai del siderurgico. L’arcivescovo, durante l’omelia, ha parlato della necessità di trovare con urgenza soluzioni per salvaguardare innanzitutto il diritto alla vita e alla salute e tutelare i posti di lavoro.
Ma c’è chi dissente: abbiamo intervistato Antonio Fago, già sindacalista, vicepresidente della Fondazione Sorella Natura e profondo conoscitore della realtà dell’area.
Perché dissente dall’iniziativa del ministro e dell’arcivescovo?
Perché alla luce dei fatti sono sempre e solo tante belle parole. È chiaro che per chi fa politica (e non mi rivolgo solo ai ministri ma anche a certi prelati) fa comodo rendersi visibili in pubblico durante questi eventi di facciata.
Ma delle tante belle parole i cittadini di Taranto sono stufi: ormai sono anni che a Taranto si organizzano eventi come questi, che non sono mai seguiti dai fatti. Anni fa io ero tra i primi a dire che l’Italsider doveva scomparire. Perché? Perché non porta nessun beneficio alla città e neppure alla nazione perché i materiali oggi arrivano dall’estero e sono molto più convenienti di quelli che produciamo all’interno. Chiudendo la fabbrica gli attuali lavoratori non solo potrebbero lavorare per trent’anni nello smantellare e bonificare lo stabilimento, ma una volta che abbiamo il turnover, e i giovani sostituiranno coloro che andranno in pensione, ci sarà la possibilità di creare nuovo lavoro. Dove? Nell’industria manifatturiera. Taranto poi è ricca di risorse nell’agricoltura, nel mare, nel turismo, nella tradizione.
Cosa si può fare per la città di Taranto e per la zona dell’Ilva?
Dobbiamo avere la capacità, la prevenzione e l’umiltà di non pensare al nostro benessere attuale ma costruire per un migliore benessere per i nostri figli. Approfittare del presente danneggia tutta la collettività compresi i nostri familiari. Chiamiamolo sentimento interiore, qualcosa che senti, una parte che tu puoi dare ad altri, ma che ritorna in bene anche a te stesso. Prioritario è l’atteggiamento da assumere nei confronti delle aziende (Ip, Cementir, ecc.) che producono inquinamento nella città ed in particolare nei confronti della massima responsabile del degrado ambientale che è l’Ilva.
Pensa che ci siano alternative per rilanciare l’area?
Vede, Taranto e il suo hinterland possiedono un patrimonio turistico di altissimo valore. Le bellezze paesaggistiche delle nostre coste, l’enorme patrimonio legato ai nostri beni culturali, le caratteristiche uniche dei nostri prodotti locali sono le premesse per una seria e perseguibile politica di sviluppo turistico finora asfittica e inconcludente per mancanza di idee e di programmazione. E il turismo può diventare impresa, ma solo se si forniranno strumenti e infrastrutture che permettano la crescita di iniziative imprenditoriali che potenzino i porti turistici, gli aeroporti, la grande viabilità, compito questo che certo non spetta ai comuni e che richiedere grandi investimenti. Ma guardi, che sono investimenti che poi ritornano sul bene della collettività.
In che modo si potrebbe risolvere il problema?
Innanzitutto iniziando a pensare che fabbrica e cittadino possono e devono convivere ma solo se le prime non continueranno a inquinare il territorio. Perché sono sempre stato uno dei fautori della chiusura dell’Ilva? Perché la lievitazione di malattie dell’apparato respiratorio e di tumori non è assolutamente barattabile o condizionabile da ricatti occupazionali. Mi spiego: è inconcepibile che le famiglie per ottenere lavoro si debbano ammalare. La logica del padrone delle ferriere, finora, è sempre stata l’idea che Taranto sia una colonia dove sia possibile arrivare, desertificare e fare profitti senza applicare la legge. Questa idea di «lavoro» deve finire, e il ruolo del Comune dovrà essere sempre più di vigilanza assumendosi le responsabilità, adeguandosi con strumenti tecnologicamente adatti, di realizzare un monitoraggio ambientale che tenga sotto controllo in maniera costante e continuativa l’ambiente. Deve cioè assumere un atteggiamento rigoroso nella verifica dei limiti delle emissioni nell’aria, nel terreno e nelle acque e soprattutto dovrà dotare l’assessorato alla Qualità della via, che la Fud ritiene centrale fra gli altri assessorati, di tutta quella strumentazione tecnico-amministrativa capace di far fronte all’impegno della tutela dell’ambiente.
Quale ruolo può assumere il comune di Taranto?
La situazione è drammatica, ma il Comune di Taranto può e deve svolgere un ruolo di primo piano nello sviluppo economico e sociale della città: propulsivo dell’economia, di promozione ed individuazione di iniziative, di creazione delle condizioni strutturali per ridare credibilità e attirare investimenti.
Affinché il Comune possa svolgere tale ruolo è necessario che sussistano tre condizioni:
– Autorevolezza della figura del sindaco e della sua amministrazione che dovrà basarsi sul consenso dei suoi concittadini;
– ricostruzione della macchina amministrativa e dell’apparato dirigenziale della struttura che dovrà essere capace di affrontare le nuove sfide del mondo delle imprese;
– la concertazione con gli altri enti sul territorio: Regione, Associazione degli industriali, Camera di Commercio, Autorità portuale, ecc.
Cosa consiglia al ministro dell’Ambiente Gian Luca Galletti?
Consiglio di rivedere le politiche dell’area: la città non può sempre pagare da sola mettendo a disposizione fette del territorio senza un ritorno per i propri cittadini anche in termini di qualità della vita e della salute. In quest’ottica occorrerà disegnare un sistema di royalty che ogni impresa dovrà pagare alla città in misura corrispondente alla occupazione di territorio, alla potenzialità inquinante dell’azienda e alla capacità produttiva dell’azienda stessa. Dunque dobbiamo orientare i nostri sforzi rivolgendoli alle grandi bonifiche: la fabbrica e il cittadino, dove possono convivere, non è detto che le fabbriche non possano farlo: devono farlo, per il bene di tutti. Bonifiche reali, come il ricambio dei filtri, il monitoraggio del territorio, il miglioramento della qualità del lavoro. Se saremo in grado di fare questo avremo reso un ottimo servizio ai nostri figli. Avremmo fatto quello che fecero i nostri padri e nonni che nel dopoguerra con grande spirito di sacrificio riuscirono di fatto a ricostruire un’Italia completamente distrutta dai danni bellici, portandola a nuova vita a tutto vantaggio delle generazioni future.
Claudio Pasqua