«Il referendum, al di là del significato letterale del quesito, e del rapporto con i ricorrenti fenomeni di corruzione, che sono emersi di nuovo in questi giorni, chiede di assumerci una personale responsabilità per il futuro del nostro paese sul fronte dei cambiamenti climatici e del futuro di noi tutti: la produzione di idrocarburi ci fa rimanere legati a un sistema energetico ormai obsoleto che causa l’alterazione delle dinamiche del sistema climatico»
Mancano solo quattro giorni al referendum del 17 aprile sulle trivellazioni in mare.
A lanciare l’appello, sottoscritto finora da 50 firmatari, sono esponenti autorevoli del mondo della scienza che scendono in campo a favore del «Sì».
«Votiamo sì perché vogliamo che il governo intraprenda con decisione la strada della transizione energetica per favorire la ricerca e la diffusione di tecnologie e fonti energetiche che ci liberino dalla dipendenza dai combustibili fossili. Ci sono precise ragioni energetiche, economiche, occupazionali, ambientali, etiche e culturali che ci obbligano a sottolineare che è interesse di tutti muoversi con lungimiranza e determinazione verso una società sempre più libera dall’utilizzo dei combustibili fossili».
Tra i primi firmatari ritroviamo Gianni Silvestrini, Direttore scientifico Kyoto Club; Luca Mercalli, Presidente società italiana di meteorologia; Flavia Marzano, Professore Metodologie e tecniche della ricerca sociale alla Link Campus University; Giorgio Parisi, professore ordinario di Teorie quantistiche all’Università Sapienza di Roma e Accademico dei Lincei; Vincenzo Balzani, Professore emerito dell’Università di Bologna e Accademico dei Lincei; Mario Tozzi, geologo, Primo ricercatore Cnr; Enzo Boschi, già Presidente Istituto nazionale geofisica e vulcanologia (Ingv) e professore Geofisica della Terra Università di Bologna; Marcello Buiatti, già Professore di Genetica all’Università di Firenze; Stefano Caserini, Professore mitigazione del cambiamento climatico al Politecnico di Milano e Coordinatore di Climalteranti.it.
Il documento sottolinea come il quesito referendario sia strettamente legato alla questione climatica che interessa tutto il pianeta.
Si legge nell’appello: «Il prossimo 22 aprile capi di Stato e di governo convocati dal Segretario Generale dell’Onu, Ban Ki-moon, firmeranno, per renderlo definitivamente operativo, l’Accordo di Parigi, risultato della Cop21 sui cambiamenti climatici di dicembre. L’accordo, raggiunto all’unanimità da 195 paesi più l’Unione europea, rappresenta l’avvio definitivo del passaggio dai combustibili fossili, responsabili principali del cambiamento climatico oggi in atto, alle energie rinnovabili, all’efficienza e al risparmio energetico e a tutte le straordinarie innovazioni presenti in questo campo nonché allo stimolo scientifico e tecnologico per produrne di nuove».
L’appello entra poi nello specifico delle diverse ragioni del sì al referendum partendo da quelle energetiche dove viene sottolineato che il quantitativo di petrolio e di gas naturale fornito al nostro Paese dalle piattaforme entro le 12 miglia non supera rispettivamente lo 0,9% ed il 3% dei consumi nazionali. Una quantità irrisoria, anche perché il consumo dei combustibili fossili è in continuo calo (-22% di gas e -33% di petrolio negli ultimi 10 anni), grazie al boom delle fonti rinnovabili (idroelettrico, fotovoltaico, eolico, geotermico, biomasse) che hanno già contribuito a cambiare il sistema energetico italiano e oggi coprono il 40% della domanda elettrica.
Si passa poi alle questioni economiche che vedono le estrazioni petrolifere, in Italia, una risorsa non significativa per le casse dello Stato, anche perché le società godono di royalty tra le più basse al mondo e franchigie molto vantaggiose.
Le rinnovabili costituiscono il presente ed il futuro dello sviluppo e rappresentano la prima voce di investimento nel mondo.
A seguire le ragioni occupazionali che stimano, sull’intero settore di estrazione di petrolio e gas in Italia, circa 9mila impiegati in tutta Italia e 3mila nelle piattaforme oggetto del referendum. Numeri che evidenziano un settore già in crisi da tempo, indipendentemente dal referendum, per la riduzione dei consumi nazionali di gas e petrolio e la mancanza di una seria politica energetica nazionale che ha visto, di contro, nel 2015 persi circa 4mila posti nel solo settore dell’eolico e 10mila in tutto il comparto.
Le questioni ambientali sostenute sono poi quelle più evidenti in quanto trattano un settore che per sua natura può rilasciare sostanze chimiche inquinanti e pericolose, come olii, greggio (nel caso di estrazione di petrolio), metalli pesanti o altre sostanze contaminanti (anche nel caso di estrazione di gas), con gravi conseguenze sull’ambiente circostante in una condizione geografica che definisce i nostri mari «chiusi» e pertanto oggetto di danni incalcolabili in caso di eventuale incidente.
A chiudere l’appello evidenzia ragioni etiche e culturali che non possono in una nazione democratica invitare all’astensione, atto di irresponsabilità civile e politica che non può che aggravare la grande malattia delle democrazie contemporanee: l’astensione dilagante.
«Il referendum, al di là del significato letterale del quesito, e del rapporto con i ricorrenti fenomeni di corruzione, che sono emersi di nuovo in questi giorni, chiede di assumerci una personale responsabilità per il futuro del nostro paese sul fronte dei cambiamenti climatici e del futuro di noi tutti: la produzione di idrocarburi ci fa rimanere legati a un sistema energetico ormai obsoleto che causa l’alterazione delle dinamiche del sistema climatico».
Un appuntamento importante con il futuro dove tutti noi siamo chiamati a rispondere e a farlo con coscienza.