Nonostante la campagna di informazione sul Referendum sia stata ostacolata in tutti i modi, nonostante i continui appelli all’astensione da parte del Premier Matteo Renzi, questa campagna referendaria ha acceso un riflettore sulle lobby del petrolio in Italia e sulle scelte energetiche del Paese, e da qui non si potrà più tornare indietro
Ieri, 17 aprile, alle 23 si sono chiusi i seggi elettorali e si è registrato che il referendum sulle trivelle non ha raggiunto il quorum con un’affluenza alle urne che si è fermata al 31,18%, sotto la soglia del 50% più uno dei votanti necessaria per la validità del voto.
Immediata la conferenza stampa voluta dal Presidente del Consiglio, Matteo Renzi, il quale ha esordito dicendo: «Ha vinto chi lavora sulle piattaforme», aggiungendo che se avesse vinto il Sì «ci sarebbero stati undicimila licenziamenti. In Italia la demagogia non paga, gli sconfitti non sono i cittadini che sono andati a votare: chi vota non perde mai. Massimo rispetto per chi va a votare. Ma gli sconfitti sono quei pochi, pochissimi consiglieri regionali e qualche presidente di Regione che ha voluto cavalcare un referendum per esigenze politiche personali».
Chiaro il riferimento a Michele Emiliano, il presidente della Regione Puglia che ha fortemente voluto il referendum e che ha guidato la cordata delle Regioni. Emiliano ha replicato a muso duro al presidente del Consiglio, quasi immediatamente sulla 7: «La barzelletta dei i posti di lavoro che si sarebbero persi non se la beve più nessuno e nessuna minaccia per ingegneri e operai. Non ho nessuna ambizione politica e non ho manipolato nessuno. Renzi deve accettare l’idea che in questo paese non basta che ad ogni sua decisione tutti gli battino le mani».
La reazione delle associazioni che hanno sostenuto il Sì al referendum è stata rapida.
Rossella Muroni, presidente di Legambiente, ha commentato: «Il quorum non è stato raggiunto ma di due cose siamo certi. La prima è che la proroga senza limiti delle concessioni per l’estrazione di petrolio e gas rimane una colossale ingiustizia, in contrasto con le regole del diritto Ue sulla libera concorrenza. La seconda, è che non sarà certamente il mancato raggiungimento del quorum a fermare un cambiamento del modello energetico che sta già mettendo le fonti fossili ai margini, perché esiste un altro scenario più conveniente, pulito, democratico. La nostra battaglia continua e la straordinaria mobilitazione dal basso organizzata in poche settimane, malgrado disinformazione e inviti all’astensione, dimostra il consenso di cui gode tra i cittadini il tema dello sviluppo sostenibile, per combattere i cambiamenti climatici e far crescere le energie pulite».
Greenpeace, dal canto suo, ha ammesso: «non siamo riusciti, neppure con quanti insieme a noi hanno sostenuto le ragioni del Sì, a convincere un numero sufficiente di italiani dell’importanza di questo voto. Sappiamo che a determinare questo risultato hanno contribuito i tempi contratti della campagna referendaria, il rifiuto di indire un Election Day e una strategia politico-mediatica che a lungo ha tenuto sotto silenzio il tema del referendum sulle trivelle.
«Noi crediamo che la partecipazione alla consultazione non debba essere ignorata: anche se non siamo riusciti a raggiungere il quorum, non dimentichiamo che non tutti hanno giocato pulito in questa partita. L’invito all’astensione venuto dal governo rimane una brutta pagina nella storia della nostra democrazia. Crediamo che Renzi e il suo governo dovrebbero invece ascoltare il segnale che viene dalle urne».
A seguire, il Comitato Vota Sì al referendum «ringrazia i milioni di italiani che sono andati a votare al Referendum sulle trivelle promosso da 9 Regioni italiane e che hanno espresso la loro opinione sulle politiche energetiche del Paese.
«Nonostante la campagna di informazione sul Referendum sia stata ostacolata in tutti i modi, nonostante i continui appelli all’astensione da parte del Premier Matteo Renzi, questa campagna referendaria ha acceso un riflettore sulle lobby del petrolio in Italia e sulle scelte energetiche del Paese, e da qui non si potrà più tornare indietro».
Il Comitato per il Sì ha anche preannunciato che ha già pronta la mossa successiva al referendum che consisterebbe nella presentazione di un ricorso in sede europea per la violazione, da parte dell’Italia, delle norme che disciplinano l’estrazione degli idrocarburi.
In definitiva, questo Referendum di certo ha aperto un dibattito pubblico in tema energetico e in un governo attento alla democrazia, all’indomani di un referendum come questo, risulta un must aprire serie riflessioni sul futuro energetico del Paese. Un percorso che vede il prossimo appuntamento in agenda fissato al 22 aprile, giorno in cui a New York anche il nostro governo sarà chiamato, insieme a Paesi di tutto il mondo, a ratificare gli impegni della Conferenza del Clima di Parigi per mantenere l’aumento della temperatura globale al di sotto di 1,5°C azzerando le emissioni da carbone, petrolio e gas entro la metà del secolo.
E allora citando quanto detto dal nostro Premier, «l’Italia sarà un Paese in prima linea in tema energetico» e noi italiani sorveglieremo su questo continuando a batterci per la tutela dei mari e la rivoluzione sostenibile del sistema energetico, l’eliminazione dei combustibili fossili come obiettivo necessario se si vuole proteggere il clima e garantire alle prossime generazioni un Pianeta sostenibile.
E allora «basta polemiche, l’Italia torni a fare l’Italia» e la politica torni a farsi garante del vivere comune.