Nello Biscotti con altri ricercatori botanici (Gennaro Del Viscio, Daniele Bonsanto) sta percorrendo la Puglia intervistando e parlando soprattutto con gli anziani, conoscitori di un patrimonio antico su cui si fondano le moderne conoscenze delle erbe. Possiamo dare il nostro contributo. Non si tratta di favorire antiche pratiche ma di sollecitare la ricerca. «Fa riflettere però che queste figure poi sono ancora cercate e niente si fa perché queste conoscenze possano essere poi sperimentate»
Dopo il successo del ponderoso lavoro dedicato alle piante fitoalimurgiche del Gargano («Peregrinazioni fitoalimurgiche. Dal Gargano alle Puglie») Nello Biscotti, con altri ricercatori botanici (Gennaro Del Viscio, Daniele Bonsanto), si sta imbarcando in un lavoro sullo stesso tema, che allarga l’orizzonte a tutta la Puglia.
L’indagine si muove nel filone della ricerca etnobotanica ma con l’obbiettivo di far emergere l’importanza dell’uso alimentare. Sta venendo fuori una lunga lista di specie corredata di codificate informazioni che propongono il nome scientifico, dialettale, le parti utilizzate della specie, le cosiddette manipolazioni a cui le piante sono sottoposte per utilizzarle (es. bolliti, infusi, impiastri, decotti, ecc.); infine l’area territoriale considerata. L’indagine segue infatti, le Terre di Puglia, gli storici sistemi territoriali(Gargano, Tavoliere, Murgia, Valle d’Itria, Salento, Arco ionico salentino) di questa regione solo apparentemente omogenea, proprio per esplorare fino in fondo il legame delle comunità rurali con la propria flora.
Biscotti è un ricercatore di razza, appassionato e meticoloso. L’impegno che ha davanti è notevole e per questo ogni forma di supporto da parte di appassionati, amanti della tradizione, conoscitori e studiosi di aree anche geograficamente limitate, può trovare una collocazione in questo lavoro. Per questo ci fa piacere di fare da tramite ed ogni segnalazione puntuale e suffragata da una immagine, che giungerà alla nostra casella di posta elettronica (redazione@vglobale.it) sarà indirizzata al ricercatore.
In Puglia le ricerche sugli usi alimentari delle erbe selvatiche conoscono oggi una indubbia vivacità di interesse, ma non hanno ancora assunto il carattere di autentiche ricerche etnobotaniche; questa vivacità culturale si rivela già sufficiente per caratterizzare questa regione con una forte e ricca tradizione fitoalimurgica (Biscotti, 2012; Accogli, Medagli, 2013; Bianco e Santamaria, 2013; Nardone, 2013; Perrino, 2015). Non mancano comunque esperienze, pur se esigue, di pura ricerca etnobotanica; si tratta di prime esplorazioni (Bianchi, Gallifuoco, 2004; Leporatti, Guarrera P.M, 2007; Guarrera, 2007; Biscotti, Pieroni, 2015) della tradizione etnobotanica della regione facendo emergere alcuni usi caratterizzanti (alimentare, medicinale, domestico, ludico, rituale-religioso).
Alla ricerca etnobotanica va il merito di aver portato alla luce moltissime conoscenze, che continuano ad emergere da ogni angolo del pianeta, segno che hanno rappresentato il fulcro sociale, economico, produttivo di tutta la comunità umana.
A livello europeo e soprattutto nell’area mediterranea, la maggior parte degli studi hanno centrato principalmente l’uso medicinale e hanno spesso ignorato piante alimentari. Nel corso di questi ultimi 25 anni, però, l’uso alimentare ed in particolar modo la raccolta e consumo di erbe selvatiche è al centro di un crescente numero di studi sul campo volti a documentare le conoscenze tradizionali (Tek). Ovunque il consumo di erbe selvatiche è fortemente correlato con la povertà, i periodi di penuria, e l’isolamento geografico e sociale; ovunque emerge spesso una certa riluttanza a parlare di uso di piante selvatiche, e quindi la trasmissione di informazioni preziose sulle piante e i loro usi alle generazioni più giovani è inibito.
Ma in Puglia, come sta emergendo dalla ricerca, le erbe selvatiche sono state qualcosa di più di «piante della fame»; hanno spesso nutrito la borghesia e sono divenuti gli ingredienti di tanti piatti tipici. Sta emergendo, inoltre, il ruolo cruciale delle stesse nella dieta mediterranea che continua a caratterizzare l’alimentazione dei pugliesi.
Per questo, Nello Biscotti, nella sua ricerca etnobotanica punta a conoscere gli utilizzi alimentari tradizionali delle erbe selvatiche che storicamente hanno «nutrito» tutta la regione e con una incredibile diversità di specie utilizzate, parti utilizzate, modalità di utilizzo. «Nelle nostre peregrinazioni fitoalimugiche – dice – però non è stato affatto difficile imbattersi in una molteplicità di utilizzi, spesso anche di piante il cui uso caratterizzante era quello fitoalimurgico che costituiva il nostro punto d’interesse; le numerose interviste hanno fatto sempre riaffiorare dei ricordi che quella stessa pianta si poteva mangiare, inventare giochi, uccidere pidocchi o ancora nutrire cardellini e tacchini. Nella ricerca ci si avvale delle cosiddette interviste, cioè di un numero considerevole di informatori che possono attestare o certificare quell’utilizzo.
«Gli informatori – continua – unici custodi di questo patrimonio di conoscenze, si sono rivelati ancora una volta precise figure spesso anziani, che in Puglia ancora esistono e abbastanza numerosi, pur se non facile a trovarsi; figure spesso timorose, nascoste, marginali sul piano sociale, ma che tutti conoscono e sanno trovare quando servono. E sono utili ancora oggi, pur in tempi di società avanzate. Basta incontrarne uno e si capisce quanta memoria è ancora viva. Diego Clinca, di Conversano (Bari) vi potrà raccontare delle proprietà nutrizionali e terapeutiche di alcune piante spontanee, come ad esempio la gramigna [(Agropyrum repens (L.) P. Beauv.)], che con la sua combinata capacità diuretica e antisettica è in grado di curare i calcoli urinari e la difficoltà nella minzione dovuta alla cistite. Ci descrive, infine, il potere della bava di chiocciola di curare le ulcere gastriche: “Da tempo procuro lumache a una signora che ha l’ulcera: ne mangia una cruda e le passa tutto”. Empirismo puro? Di una medicina fai da te, che non è il caso di proporre? Certamente! Fa riflettere però che queste figure poi sono ancora cercate e niente si fa perché queste conoscenze possano essere poi sperimentate».
In questi anni, sorprendente interesse stanno avendo gli usi alimentari delle piante selvatiche, anche qui un mondo in cui si vede poco coinvolta la stessa scienza dell’alimentazione; del resto il comune pensare non riflette abbastanza sul valore delle piante come fonte di cibo e ancor meno che le stesse sono state tali nella loro forma spontanea. Si tratta sicuramente di una riscoperta, che vive crescenti interessi soprattutto di comuni consumatori, ma che ha il merito di aver sollevato il problema e di contribuire a fare in modo che farmaceutica e scienza dell’alimentazione possano cominciare a trovare un punto di incontro. Il sogno rimane ancora tale e cioè di un cibo che possa mantenere in salute l’organismo, e di fare in modo che la farmaceutica possa diventare sempre più nutraceutica. Siamo arrivati così ai cosiddetti cibi funzionali ai quali si stanno sostituendo però sempre più farmaci integratori che ci fanno restare sempre più nelle farmacie o nella convinzioni di strade alternative, come il variopinto mondo della fitoterapia.